Quando si parla del ruolo dei cattolici in politica, non è mai troppo scontato stabilire o ribadire le priorità. Pertanto, non sarà mai troppo scontato ricordare che la famiglia, la vita e la libertà d’educazione rimangono il principale criterio di valutazione per qualunque elettore che si richiami ai principi della Dottrina Sociale della Chiesa. Se n’è discusso lo scorso 16 gennaio, durante un incontro a Correggio (Reggio Emilia) promosso dal Centro Culturale “Piergiorgio Frassati”, presieduto da Fernanda Foroni, referente di Pro Vita & Famiglia. Momento centrale del dibattito è stata la relazione di Stefano Fontana, giornalista, scrittore e direttore dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân, sul tema Cattolici e politica: quali valori difendere?
Sullo sfondo del cruciale appuntamento delle elezioni regionali in Emilia-Romagna (26 gennaio), Fontana ha innanzitutto sgomberato il campo da un equivoco: non sono le «esigenze emergenti» o i «bisogni politici» contingenti dell’Emilia-Romagna (o di qualunque altro territorio o regione), il punto di partenza per l’approccio di ogni cattolico al voto. Bisognerà piuttosto guardare alla realtà dei fatti, ponendo in primo piano la «retta ragione» e la «dottrina della fede». Il vero «fine della politica», ha aggiunto Fontana, non è nemmeno nella «democrazia», nel rispetto della «Costituzione» o nella «partecipazione» al voto ma nel «bene comune». «Se tutti i partiti in lizza – ha spiegato il relatore – presentassero programmi contro i principi della legge morale naturale, sarebbe doveroso non andare a votare. Non si deve infatti fare il male, nemmeno per fare un bene, figuriamoci quando è solo e certamente male».
Inoltre, posto che «la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna e aperta alla vita è un contenuto della politica avente carattere assoluto in quanto essenzialmente connesso col bene comune», ne consegue che «non ci può essere bene comune senza famiglia naturale e non c’è modo di fare delle politiche anti-familiari nel rispetto del bene comune». A fronte di tale principio, altre questioni, come ad esempio, l’«accoglienza degli immigrati» si collocano a un livello diverso: una politica migratoria di «accoglienza indiscriminata», ad esempio, «troverebbe proprio nel principio del bene comune una decisa e sostanziale opposizione».
«La famiglia, la vita e la libertà di educazione – ha quindi ribadito Fontana – non possono in alcun modo venire paragonati ad altri contenuti della attività politica, quindi rimangono il criterio principe di valutazione, anche alle elezioni qui in Emilia-Romagna». Quando si vanno ad eleggere candidati che portano avanti «politiche anti-familiari», si rischia di perdere «i tre pilastri di un ordine naturale che non è a noi disponibile, garanzia della nostra vera libertà, ossia della possibilità di criticare il potere e di contestare il sistema non per motivi soggettivi ma per esigenze di verità». Se ci si priva di questo «indisponibile», tutto diventa «disponibile» e la società diviene un «carcere insopportabile».
Un ulteriore accenno, Fontana lo ha rivolto all’«emergenza ecologica», la quale è «tutta da provare e comunque da inquadrare in modo non ideologico» e, comunque, «non è affrontabile se non considerando la natura frutto della creazione», né è concepibile come «religione mondana». È infine da evitare la ricaduta in una neo-lingua eufemistica e manipolativa, che definisce l’aborto «salute riproduttiva» e l’utero in affitto «gestazione solidale»: distorsioni semantiche a cui, ha osservato Fontana, «molti cattolici si adeguano».
di Luca Marcolivio