Con la scusa dell’inclusione, sempre più scuole stanno proponendo agli alunni, anche in tenera età, progetti ispirati alle teorie dell’ideologia gender. Esse, diffondendo clamorose menzogne, mirano a screditare verità scientifiche evidenti, come il fatto che si possa essere solo o maschi o femmine, che il sesso sia un dato biologico immutabile o che i bambini abbiano (e abbiano bisogno di) un padre e una madre.
Così, i ragazzi, invece di essere istruiti secondo quanto afferma la scienza, vengono gettati fra i tentacoli di una ideologia falsa e dannosa, mentre tutti coloro che si oppongono a ciò vengono puntualmente tacciati di “discriminazione” – anche se nessuno intende discriminare -, additati come “omofobi” – anche se non viene mai meno il rispetto per alcuno -, e disegnati come “odiatori professionisti", pur di essere messi a tacere.
Un articolo di LifeSite News presenta il caso di due genitori che denunciano come la scuola abbia indottrinato la loro figlia di 13 anni, spingendola a credersi uomo. Uno dei principali pericoli dell’ideologia gender, infatti, è la forte spinta che i suoi sostenitori esercitano su bambini e ragazzi nel far mettere loro in discussione la propria reale identità, insinuando loro il dubbio, ad esempio, di essere nati nel corpo sbagliato.
«Nostra figlia era invitata a sentire di essere un ragazzo nel corpo di una ragazza», afferma la coppia. Inizialmente, la figlia aveva iniziato a frequentare sessioni di incontri con un assistente del docente responsabile del gruppo LGBT della scuola. Da lì, la ragazza iniziò a tagliarsi i capelli molto corti. La Hoe Valley School di Woking, nel Surrey, avrebbe, poi, iniziato a chiamarla con un nome da maschio e l’avrebbe invitata a cambiarsi nello spogliatoio degli uomini.
Ma vi sembra giusto che una ragazza debba spogliarsi davanti a dei maschi, con il benestare della scuola? Qualcuno ci pensa che avrebbe potuto essere vittima di abusi in quel contesto? È mai possibile che i genitori di una ragazza di soli 13 anni non vengano avvisati dalla scuola di tutto ciò? E con quale autorità una scuola si permette di chiamare un’alunna con un nome diverso dal suo, e per giunta maschile, quand’anche fosse stata lei stessa ad averlo chiesto?
Come se non bastasse, alla richiesta di spiegazioni da parte dei genitori, la scuola avrebbe risposto: «È importante che capiate che lei è abbastanza grande per prendere le sue decisioni». A 13 anni… Insomma, dov’è finita la priorità educativa dei genitori? E il diritto dei ragazzi a conoscere la verità sulla propria identità? I giovani meritano di essere aiutati a riscoprire la propria preziosità, non di essere spinti a cambiare, come se fossero un errore.
di Luca Scalise