17/10/2022 di Francesco Comegna

Gender a scuola. Lo psichiatra Cantelmi: «L'educazione dei nostri figli non può essere una battaglia ideologica»

Imperversa la polemica riversata sulla campagna nazionale di Pro Vita & Famiglia contro il gender nelle scuole, che ha visto una mobilitazione di censori di ogni sorta, da assessori comunali a semplici rappresentati politici, che cedendo alle pressioni dei gruppi LGBT si sono attivati per censurare le regolari affissioni dei manifesti di Pro Vita & Famiglia in vari comuni d’Italia, in particolare a  Torino, Milano e Roma, ma anche Pontedera e Bologna. Tutti amministrati da giunte di sinistra.

Ma qual è la pietra dello scandalo? Un manifesto accusato di essere violento e sessista, perché chiede semplicemente di non confondere l’identità sessuale dei bambini. Sappiamo infatti come i corsi di indottrinamento gender siano già entrati nelle scuole di ogni ordine e grado, spesso subdolamente mascherati da corsi contro il bullismo e le discriminazioni, dove invece di educare al rispetto dell’altro si parla di sessualità (anche a bambini di sei anni) e di come fin da piccoli si possa scegliere una fantomatica identità di genere slegata dal sesso biologico di appartenenza.

Senza entrare nel merito delle polemiche e delle censure, abbiamo chiesto un parere sull’opportunità o meno di parlare di questi temi a bambini e ragazzi in età scolastica, al professor Tonino Cantelmi, docente universitario, psichiatra e psicoterapeuta specializzato in neuro-sviluppo, direttore sanitario e medico-scientifico dell’Istituto don Guanella, un’eccellenza nella riabilitazione per i disturbi legati al neuro-sviluppo.

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Prof. Cantelmi secondo lei parlare di sessualità ed in particolare di identità di genere nelle scuole, anche primarie, può dare qualche beneficio a ragazzi e bambini?

«Guardi io ho proposto in un mio libro pubblicato dalle paoline “Nati per essere liberi”, un percorso di sviluppo affettivo denominato “gender free”, non perché non conosciamo le problematiche riguardo al tema, che effettivamente ci sono, ma perché un sano percorso di sviluppo antropologicamente corretto lo è anzitutto rispetto all’età, perché ogni proposta in tal senso va calibrata secondo i corretti percorsi di sviluppo individuale, se non si rispetta questo principio e si propone un progetto di educazione sessuale su vasta scala uguale per tutti, si possono creare seri danni. A tal proposito spingo molto anche il progetto “Pioner” come sana proposta pedagogico-educativa sulla sessualità».

Secondo lei esiste un fondamento scientifico della teoria gender?

«Ci sono fenomeni sociali che tendono a generalizzare tutto e a creare stereotipi, ma in realtà a livello scientifico il dato psicologico su questi temi è molto titubante, esistono si delle situazioni problematiche che vanno affrontate, ma non in modo generico con programmi educativi, ma singolarmente, sulla persona interessata».

Per quanto riguarda le situazioni problematiche, la disforia di genere è da sempre considerata una patologia, dico considerata perché ad oggi si tende a de-patologizzarla e a normalizzarla, riducendola ideologicamente ad una scelta libera e consapevole, ci può dire qualcosa in merito?

«La disforia di genere è una patologia e ci sono dei trattamenti specifici a riguardo, il problema è che ad oggi alcune dinamiche socio-culturali spingono quasi ad incentivarla. Da un punto di vista scientifico bisogna prendere tempo, saper aspettare per capire realmente cosa succede, in quanto la maggior parte delle disforie di genere, specialmente in età infantile sono reversibili, spesso infatti il soggetto si riappacifica con il proprio corpo e la propria identità, quindi prima di intervenire bisogna essere cauti, altrimenti si rischia di fare danni a queste persone anziché aiutarle. Davanti ad un’acclarata disforia di genere invece bisogna prendere tutti i provvedimenti necessari, questo non crea nessun problema da un punto di vista medico, etico o morale».

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Quindi ha senso secondo lei, parlare di una realtà complessa come la disforia di genere a bambini e ragazzi a scuola?

«Non penso sia opportuno. Per quanto riguarda il trattamento di queste tematiche a livello scolastico invece di fare corsi generici, sarebbe più opportuno formare i docenti e fare interventi mirati su un gruppo classe e su una singola persona, solo qualora si presentasse un caso di disforia di genere. Bisogna rilevare come spesso questa insistenza nel voler parlare a tutti i costi di queste tematiche, si inserisce in un contesto generale di iper-sessualizzazione dei minori, di cui non si parla mai e che di contro è una tendenza molto preoccupante, pensi che le statistiche ci dicono che dal look down in poi l’età media di accesso alla pornografia si è abbassata ad 11 anni. Ora l’educazione dei nostri figli non può essere un campo di battaglia ideologico e attorno a questo dovremmo essere tutti uniti, in quanto ci sono diversi studi che dimostrano come l’ipersessualizzazione precoce crei gravi problemi nello sviluppo, spesso anche patologici».

Quindi tornando al gender, parlare a livello informativo a ragazzi di problematiche da cui non sono toccati non rischia solo di confonderli?

«Assolutamente, come già detto occorre approcciarsi a queste problematiche a livello individuale, non su larga scala, dove al massimo si può parlare del rispetto e dell’accoglienza che tutti meritano aldilà delle problematiche, ma senza entrare nello specifico dove si rischia solo di confondere le idee».

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