L’ennesimo tentativo di confondere le idee dei bambini da parte degli ideologi del gender è stato attuato negli asili di Trieste.
In 45 scuole dell’infanzia il Comune propone il “Gioco del rispetto – Pari e dispari”, che, come si legge sull’opuscolo informativo, ha lo scopo di «verificare le conoscenze e le credenze di bambini e bambine su cosa significa essere maschi o femmine, a rilevare la presenza di stereotipi di genere e ad attuare un primo intervento che permetta loro di esplicitare e riorganizzare i loro pensieri, offrendo ai bambini anche un punto di vista alternativo rispetto a quello tradizionale».
Insomma, lo dicono chiaramente che vogliono confondergli le idee.
Inoltre, dice il materiale esplicativo che la maestra, dopo aver fatto fare un po’ di ginnastica ai bambini, dovrà far notare loro le sensazioni e le percezioni provate. «Per rinforzare questa sensazione i bambini/e possono esplorare i corpi dei loro compagni, ascoltare il battito del cuore a vicenda o il respiro». «Ovviamente – si legge ancora – i bambini possono riconoscere che ci sono differenze fisiche che li caratterizzano, in particolare nell’area genitale».
E così, secondo il progetto, i bambini possono imparare e accertare che maschi e femmine sono diversi e “nominare senza timore i genitali maschili e femminili». Al contempo bisogna spiegare che tali differenze sono del tutto marginali rispetto al resto: non c’è differenza tra maschio e femmina, che sono stereotipi di genere. Così facendo i bambini vengono confusi: fisicamente siamo diversi. E su questo non possono esserci dubbi. Che come dignità personale siamo tutti uguali, questo deve essere argomento di altra lezione, altro contesto, in cui non si parla di fisicità e di materia...
Tra i giochi proposti c’è pure quello del “Se fossi” durante il quale «I bambini e le bambine potranno indossare dei vestiti diversi dal loro genere di appartenenza e giocare così abbigliati». E quindi imparare che i due sessi sono intercambiabili? Non è vero. Non sempre.
Ovviamente molti genitori sono insorti e la Vice – sindaco, Fabiana Martini, ha detto la sua, accusando i genitori di aver mentito. E in generale si è levato il coro di coloro che hanno minimizzato, psicologi che hanno pontificato, saggi e sapienti che hanno spiegato che è bene che i bambini imparino che maschi e femmine sono uguali (ma dopo essersi toccati i genitali, che sono diversi). Hanno avuto il coraggio persino di dire che non si trattava di educazione sessuale.
VitaNuova ha pubblicato la risposta del genitore che ha sollevato la questione: come al solito hanno tentato di rigirarsi la frittata più volte a proposito della mancata trasparenza nell’informazione e condivisione di tali attività con le famiglie. La verità è che la circolare che annunciava la cosa è stata affissa nella bacheca della scuola solo qualche giorno dopo la protesta dei genitori, inviata con raccomandata alla Dirigenza scolastica il 19 febbraio.
E in detta circolare non c’era alcuna “spiegazione” . Il Collegio Docenti è stato convocato e investito della questione ancora più tardi (il 4 marzo) e ancor più tardi (l’11 marzo) gli “esperti” estensori del progetto, estranei alla scuola, sono stati invitati a presentare l’attività “altamente educativa e formativa”, che già era avviata e per cui i genitori avevano già protestato.
Insomma, da tutta questa vicenda possiamo trarre la riprova di ciò che andiamo dicendo da tempo:
– i tentativi di indottrinamento, confusione e corruzione dei nostri bambini sono sempre molto ben mascherati dietro attività e progetti “altamente educativi” che a prima vista non sembrano nocivi: bisogna andare in fondo e studiare bene il materiale;
– vista la connivenza delle istituzioni politiche e culturali, che dovrebbero essere preposte a salvaguardare il sano sviluppo delle persone nel contesto familiare, e che invece si adoperano in tutti modi per scavalcare i diritti della famiglia, violare il principio di sussidiarietà, e insinuare nelle giovani menti idee del tutto soggettive e altamente opinabili, sta a tutti noi vigilare, informarsi, allertare, denunciare e protestare con tutti i mezzi – anche mediatici – che riusciamo ad avere a disposizione.
Uno di questi mezzi è ProVita: che è nata proprio per informare e formare, “nel nome di chi non può parlare”.
Francesca Romana Poleggi
Chi volesse approfondire e leggere i documenti del suddetto progetto può farlo qui: