03/06/2017

Gender – Negare la diversità è discriminazione (2)

Un contributo a Notizie ProVita da parte del professor Tonino Cantelmi, a proposito di gender e discriminazioni ingiuste : seconda parte. Qui la prima.

In linea con molti studi internazionali, sostengo che è possibile stabilire e riconoscere che esistono delle differenze e delle peculiarità maschili e femminili, che possono interessare la conformazione fisica, il tono muscolare, gli assetti neuroendocrini, le funzionalità cerebrali, le caratteristiche psicologiche, relazionali e sociali. Ovviamente con questo non intendo affermare che tutti i maschi e tutte le femmine rientrano perfettamente in queste dimensioni, perché queste sono caratteristiche con molte variazioni individuali. E soprattutto, prima c’è sempre la persona con la sua unicità, il suo carattere e la sua storia personale. Inoltre è bene sapere che, soprattutto per quanto riguarda le differenze fisiologiche cerebrali, queste sono riscontrabili soprattutto nella fase dello sviluppo, tra i  7 ed i 18.

Anzitutto è essenziale dirimere le sovrapposizioni concettuali tra genere e sesso, educazione di genere ed educazione a partire dal sesso di appartenenza e fare un po’ di chiarezza.

Le categorie “sesso” e “genere” sono distinte in quanto la prima denota l’appartenenza ad una delle due categorie biologiche della diade che compone l’umanità (maschio/femmina), mentre per “genere” si intende indicare tutto ciò che è sovrapponibile al “biologicamente dato”, quindi l’esperienza psicologica, relazionale e culturale. Il sesso di una persona ha delle caratteristiche inequivocabili, esplicite e riconoscibili. Descrivere il genere di una persona, invece, comporta il far riferimento ad un piano non evidente e più interiore della persona, lì dove risiedono la sua personalità, il suo carattere, le sue inclinazioni e passioni, il suo modo di concepirsi ed emozionarsi, il ruolo che si aspetta di avere nelle relazioni. Il concetto di “genere”, oggi molto usato ed in voga è in realtà abbastanza recente ed è interessante notare come si sia sviluppato:  “ negli anni settanta a partire dalla presa di coscienza, da parte delle donne, del persistere di una situazione di profonda asimmetria e di squilibrio tra i ruoli sessuali. Nasce come critica all’uso di quel binarismo sessuale che, per secoli, si è tradotto in una precisa gerarchia dei ruoli, consegnando alla biologia l’origine dell’inferiorità femminile”, dice la Barbara Gelli, in (Psicologia della differenza di genere, 2009). Questo vuol dire che il termine “genere” permette di introdurre un elemento di variabilità in quel percorso che, a partire dal sesso biologico di appartenenza alla nascita, faceva corrispondere un ruolo preciso e predeterminato. Secondo questa interpretazione, non era il sesso biologico a determinare il ruolo, il comportamento, le aspettative della società e, in definitiva, l’essere uomo e donna adulti, ma il genere.

Secondo questo paradigma femminista, era possibile interrompere il determinismo che portava una bambina ad essere una donna trattata in modo ineguale e peggiore rispetto agli uomini, spezzando e destrutturando gli influssi culturali e sociali che determinavano il ruolo femminile, dal momento che tali influssi non erano affatto innati, ma culturalmente costruiti e quindi, modificabili. Se infatti è attraverso l’influenza sociale e culturale che condiziona il genere di una persona, che si attua la discriminazione maschilista, attraverso lo stesso canale si può operare per modificare le aspettative intorno ai ruoli sessuali e, scrive la Gelli, riferendosi al femminismo liberale americano degli anni settanta, la socializzazione cambierebbe di conseguenza.  A riguardo Piccone Stella e Saraceno affermano: “La scelta di ricomprendere i due sessi e i loro rapporti nell’espressione genere risponde all’esigenza di attribuire il massimo peso a quanto vi è di socialmente costruito nella disuguaglianza sessuale, a quanto vi è di non biologicamente dato nella relazione di disparità tra uomini e donne. Questa scelta concettuale ha assegnato un’importanza particolare al lavoro delle scienze sociali e alla responsabilità di chi indaga sia il percorso storico che i meccanismi della disparità nel presente”.

Ne consegue che anche l’educazione, influendo sul genere dei bambini in crescita, per non essere essa stessa apportatrice di disuguaglianze e discriminazioni dovrebbe uniformare il più possibile le differenze tra i due sessi in modo da riservare ad entrambi uguale trattamento, uguale possibilità di formazione e uguale accesso al lavoro.

(continua)

Tonino Cantelmi

Fonte: Notizie ProVita,   febbraio 2015


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