In piena pandemia da Covid-19, l’allora ministro della Sanità Roberto Speranza elaborava un documento a dir poco choc, prevedendo «una visione trasformativa del genere, che metta in discussione ruoli, norme e stereotipi».
Lo scoop arriva da La Verità dello scorso 17 gennaio, nelle cui pagine Francesco Borgonovo dà conto di un’iniziativa che, appunta, approvata dall’ex ministro, trasferisce alcune concettosità elaborate sotto il coordinamento dell’Università di Pisa all’interno dei curricula scolastici di alcune regioni. Iniziative sperimentali, certo, ma già brecce rispetto a un piano la cui natura politica e ideologica è stata ampiamente svelata da tempo. Un piano che emerge tra le nebbie del linguaggio paludato dei documenti accademici con espressioni come «approccio inclusivo delle diversità», «aspetti cognitivi, emotivi, fisici e sociali della sessualità», e così via, in un rosario di formule ben note a chi sa riconoscere il linguaggio gender.
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Borgonovo documenta con precisione tutto il processo che ha portato questi esperimenti nelle scuole senza previa consultazione (non parliamo di autorizzazione…) del corpo docente o dell’opinione pubblica. Ma non solo. Ci permettiamo di aggiungere, infatti, che la mente di tutto questo processo non sta ovviamente in Italia la quale, su questo, come sul resto, si comporta da colonia qual è, cioè obbedendo a ordini che provengono da altrove. Basti pensare all’Organizzazione Mondiale della Sanità che, come abbiamo avuto occasione di segnalare, sta proprio nel cuore delle Nazioni Unite, un baraccone guidato dal lato operativo dai Paperon de’ Paperoni del mondo e dal lato ideologico dalle lobby più forti su piazza. Tra le prime, proprio quella LGBTQ+ che così tanto, da sempre, ambisce a infilarsi nelle scuole per fare mero indottrinamento camuffato da “educazione all’affettività”.
Diciamo “da sempre”, ma è inesatto, soprattutto è generico. Perché mentre oggi di tanto in tanto emergono notizie come quella data da “La Verità”, che fanno da singoli campanelli d’allarme, quello che manca è una disamina generale e approfondita della questione, nonché un’individuazione chiara dei responsabili. Ecco allora che, seguito il filo nascosto delle leggi, quel “da sempre” si precisa in nove anni. Questo è il tempo trascorso da quando le porte delle scuole italiane sono state spalancate all’ideologia gender, con tanto di tappeto rosso e denaro pubblico in sovrappiù. Il riferimento è alla Legge 107/2015, denominata (forse ironicamente) “Buona Scuola”, approvata sotto gli auspici di soggetti come Elsa Fornero, Maria Chiara Carrozza, Stefania Giannini, Valeria Fedeli. Lì sta il perno dell’intero meccanismo, il pertugio (ormai una voragine) attraverso cui i miasmi ideologici finiscono nei libri e sui banchi di scuola. Proviamo a districarci tra i vari rimandi delle leggi, pensati appositamente per far smarrire il cittadino che cerca di capirci di più.
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Al comma 16 della legge sulla “Buona Scuola” si fa infatti un primo rimando all’articolo 5 comma 2 del Decreto Legge del 14/08/2013. Se si va a controllare, si scopre che in questo modo la “Buona Scuola” rimanda al decreto cosiddetto “contro il femminicidio”. In quell’articolo si rinvia ulteriormente a un non meglio definito “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”, che viene elaborato periodicamente dal Ministero Pari Opportunità, in conformità con le indicazioni dell’Unione Europea. Ed ecco la porta permanentemente aperta alle politiche sovranazionali verso la scuola italiana. Ma c’è di più e di molto più scandaloso: il “Piano” sopra citato viene elaborato da quei ministeri e quelle direzioni dove siedono in pianta stabile, ufficialmente riconosciuti, gruppi di pressione LGBT come l’UNAR. Costoro licenziano un “Piano” che, secondo la classificazione delle norme, è un atto amministrativo generale, come tale privo di ogni forza di legge, che però viene trascinato alla dignità della legge vera e propria tramite i rimandi incrociati di cui si è detto sopra. Cosa contenga questo “Piano” che detta i contenuti da portare nelle scuole trasversalmente a tutte le materie e da inserire nei libri di testo, lo si può leggere scaricandosene l’ultima versione, cosa che sconsigliamo di fare alle persone di coscienza. Se proprio vogliono inorridire, acquistino piuttosto un qualunque libro di Stephen King.
Dunque è vero che l’iniziativa segnalata da “La Verità” ha la sua testa in Roberto Speranza, ma non è lì il capolinea, non è lì la testa del serpente. Essa è altrove, nascosta in un groviglio di leggi e rimandi, di assunzioni illegali al rango di legge, di atti privi di qualunque valore normativo, di complicità e silenzi di una politica che, da ogni parte, ormai non sembra più avere la forza di chiudere, serrandola a doppia mandata, la porta aperta all’ideologia gender dal Governo Renzi e dalle sue due rovinose ministre dell’Istruzione, prima Fedeli e poi Giannini.
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Eppure lo spazio operativo e politico per correggere il tiro ci sarebbe. Basti vedere quali sono alcuni tra gli enti che partecipano all’iniziativa menzionata da “La Verità”: l’Istituto Superiore di Sanità, la Sapienza di Roma, la Caritas, l’Associazione nazionale per la lotta all’AIDS, la Croce Rossa italiana. Colossi dalla lunga tradizione, dotati di caratura istituzionale o di una missione di specchiata affidabilità. Tra costoro si insinua però anche il Circolo di Cultura Omosessuale “Mario Mieli”. Senza andare a cercare chi fosse e cosa scrivesse tale Mario Mieli (meglio il tradizionale velo pietoso), basta porsi una domanda: qual è la forza operativa e politica reale, in termini ideali e di rappresentanza, di tale circolo? È davvero tale da legittimarlo a partecipare a un consesso insieme ad enti di quel calibro? Qualcuno troverà una buon volta la volontà di prendere peso e misure reali (facciamo spoiler: di fatto irrilevanti) a queste lobby che si infiltrano attraverso la porta lasciata spalancata dalla “Buona Scuola”?
C’è poi un ultimo aspetto relativo al non detto implicito nelle varie iniziative sulla “educazione emotiva” che si vuole imporre nelle scuole. Un non detto che Borgonovo, nel suo articolo, non teme di svelare, quando definisce quel tipo di programmi come finalizzati a «rieducare i maschi potenzialmente violenti». Un concetto sicuramente presente in quelle iniziative, faticosamente celato sotto i vari riferimenti agli “stereotipi di genere”. E anch’esso un concetto profondamente sbagliato. Che la violenza sia umana e non legata al genere, oltre a essere cosa nota e ovvia, è dimostrato dalle coraggiose rilevazioni degli animatori del sito “La Fionda”, che di recente hanno licenziato un “Osservatorio statistico” di grande interesse. Traendo i numeri dai fatti di cronaca notiziati dai media (quindi misurando la punta dell’iceberg), hanno rilevato come il numero di donne che fanno violenze di vario tipo agli uomini non sia affatto trascurabile. Eppure la premessa della “educazione affettiva” nelle scuole è sempre la stessa: colpevolizzare il sesso maschile e vittimizzare quello femminile. Una fallacia ideologica e fattuale ben visibile nei numeri, ma da nascondere sotto al tappeto se si vuole avere via aperta all’indottrinamento nelle scuole, con i relativi finanziamenti pubblici.