Si avvicina il Natale e si pensa molto a regali e giocattoli.
The Guardian ha recentemente descritto tutta la “preoccupazione” degli “esperti” rispetto alla tendenza tuttora riscontrata di dipingere di rosa i giocattoli da bambina, e comunque di costruire odiosi stereotipi di genere attraverso giocattoli dedicati a maschi e femmine.
A Napoli hanno allestito una grande mostra, ““Storie di giocattoli. Dal settecento a Barbie”, promossa da promuoverla dal Museo del Giocattolo di Napoli, dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli, d all’Università Suor Orsola Benincasa e dall‘Arcigay.
Con il patrocinio di: Accademia delle Belle Arti, Mostra didattica sulla contraffazione del giocattolo, Camera di Commercio, SImpresa, Confindustria Napoli, Unione degli industriali di Napoli, Università Federico II, Procura della Repubblica di Napoli, Agenzia delle dogane e dei monopoli, Guardia di Finanza di Napoli, Arte’m organizzazione, comunicazione, editoria e servizi museali.
Ce ne ha parlato diffusamente l’Osservatorio Gender: “promuovere la ‘normalità’ gay attraverso la storia dei giocattoli e rimuovere la distinzione di genere che la società ‘impone’ fin da bambini” è il fatto ideologico imprescindibile alla base della propaganda omosessualista.
Tra i giocattoli moderni, infatti, vediamo il “Gay Bob, il primo giocattolo al mondo dichiaratamente gay, prodotto a New York nel 1977 per incoraggiare il “coming out” all’interno della comunità Lgbt, nato dall’idea di un ex dirigente pubblicitario, Harvey Rosenberg”.
Ci asteniamo da qualsiasi commento. Il bambolotto qui a lato parla da sé. Da solo ci spiega se e come roba del genere possa servire ad educare i bambini al rispetto delle diversità e alla libertà.
Potremmo ripetere le conclusioni di fior di scienziati nord europei (non bigotti, né cattolici, ecc.) che hanno riscontrato la naturale preferenza per certi “meccanismi” nei bambini anche appena nati (quindi privi di condizionamenti) e la preferenza per i volti, le linee morbide, la comunicazione, nelle bambine fin dai primissimi giorni di vita nel nido dell’ospedale. Chi ancora non l’ha fatto, si vada a vedere Il Paradosso Norvegese: il documentario è nato per rispondere a una domanda cruciale. Come mai in un Paese dove gli stereotipi sono stati abbattuti da tempo, dove per la “parità di genere” sono stati investiti milioni di corone, ancora le donne scelgono mestieri “da femmina” e gli uomini scelgono mestieri “da maschi” (felicemente)?
E alla fine ci chiediamo: ma tutti questi fautori dei giocattoli privi di genere, tutti costoro che si dicono preoccupati per la serenità dei bambini, hanno mai avuto a che fare con bambini veri?
In qualsiasi contesto familiare o scolastico i bambini fanno giochi diversi perché sono naturalmente diversi. Maschi e femmine giocano a palla: le femmine usano le mani, i maschi (appena sono in grado di reggersi sulle gambette) le prendono a calci. Maschi e femmine giocano con i soldatini o i supereroi: i maschi fanno la guerra, le femmine li mettono a dormire e li cullano.
Questa è l’esperienza di tutte le persone ... normali.
Ma il problema – forse – è proprio questo, alla radice: non vogliamo più sentir parlare di normalità, come se fosse una parolaccia.
Francesca Romana Poleggi
#STOPuteroinaffitto: firma e fai firmare qui la petizione
contro l’inerzia delle autorità di fronte alla mercificazione delle donne e dei bambini