Uno dei più duraturi miti contemporanei, riguardo al dibattito sui temi etici, è quello secondo cui «tutti gli studi scientifici» affermano che, per un figlio, non conti avere un padre ed una madre, in quanto «conta l’amore». Ora, non è ben chiaro – al di là dell’efficace dimensione di slogan – cosa significhi quel «conta l’amore» (chi e come lo misura?), né lo è il motivo per cui le unioni arcobaleno dovrebbero essere depositarie di affetto in misura eguale se non maggiore rispetto alla famiglia naturale (esiste forse un’esclusiva sui sentimenti?), ma soprattutto è lasciare perplessi è quel «tutti gli studi scientifici»; e per due ragioni.
Primo, perché non è vero che «tutti gli studi scientifici» affermano che non c’è differenza tra avere o non avere un padre e una madre e il crescere con due donne o due uomini; anzi, ci sono decine di pubblicazioni che dicono l’esatto contrario. In seconda battuta, c’è un profilo metodologico che non si può non considerare: tanti studi scientifici non significa automaticamente tanti studi scientifici di assoluta e inattaccabile qualità. Di questo il popolo pro family è consapevole da tempo, ma la notizia è che ora viene riconosciuto perfino a livello accademico. Prova ne è Mental health of children with gender and sexual minority parents: a review and future directions, un nuovo lavoro da poco pubblicato sulla rivista Humanities and Social Sciences Communications, il cui nome potrebbe non dire molto ma è di tutto rispetto, essendo del gruppo Nature.
Con questo lavoro Deni Mazrekaj e Yuxuan Jin, del dipartimento di Sociologia dell’università di Utrecht, hanno inteso fare qualcosa in sé di molto semplice e pacifico, vale a dire una verifica della letteratura scientifica pubblicata tra il 2015 e il 2022 – quindi la più recente in assoluto - sulle differenze di salute mentale tra bambini con genitori appartenenti a minoranze sessuali e di genere e bambini con genitori di sesso diverso. Secondo il ritornello de «tutti gli studi scientifici affermano», la verifica in questione si sarebbe dovuta svolgere rapidamente e soprattutto senza particolari sorprese. Peccato che Mazrekaj e Jin – evidentemente animati da sano spirito accademico e non dal sacro fuoco della militanza pro Lgbt – abbiano invece trovato qualcosa di politicamente molto scorretto.
«Benché la maggior parte degli studi indichi che i bambini con genitori appartenenti a minoranze sessuali e di genere non sperimentano più problemi di salute mentale rispetto ai bambini con genitori di sesso diverso», hanno notato, c’è un bel problema. Eccolo: «I risultati sono contrastanti e dipendono dal campione sottostante. La revisione evidenzia importanti carenze che caratterizzano questa letteratura, inclusi campioni di indagini trasversali, metodi di correlazione, mancanza di diversità per paese e una mancanza di ricerca sui bambini con genitori transgender e bisessuali». Se non è una demolizione totale del mito del «tutti gli studi scientifici affermano…», beh, poco ci manca.
Anche perché, se si spulcia questo lavoro, si scoprono pure altre cose notevoli. Per esempio, il fatto che, fra i 17 studi analizzati e pubblicati fra il 2015 ed il 2022, solo 10 si basino su campioni casuali e fra questi 5 riportino maggiori problemi emotivi e/o comportamentali fra i bambini allevati da genitori dello stesso sesso; qui il succitato richiamo ai «risultati contrastanti». Il tormentone de «tutti gli studi scientifici» dicono che «conta l’amore» è dunque fatto definitivamente a pezzi da questa considerazione e dalla stessa conclusione fatta da Mazrekaj e Jin, i quali si sono accomiatati, nel loro lavoro, segnalando che «è necessaria una sostanziale cautela quando si tenta di arrivare ad una conclusione generale basata sullo stato attuale della letteratura».
Scusate, e adesso chi lo dice agli Ordini degli psicologi italiani che, non più tardi di qualche mese fa, si sono presi la briga, attaccando il ministro della Famiglia Eugenia Roccella, di affermare che «la letteratura scientifica, ormai consolidata, evidenzia che non vi sono differenze sostanziali fra le famiglie con genitori eterosessuali e quelle con genitori omosessuali rispetto alla crescita dei figli»? E chi lo racconta a giornali come Repubblica, Vanity Fair e il Post – solo per citarne tre, ma l’elenco sarebbe lungo -, che da anni assicurano i loro lettori sul fatto che in una unione non importa se ci siano sia padre sia madre, perché tanto «conta l’amore»? Forse più di qualche studioso e di qualche giornalista dovrà rivedere le proprie posizioni. Perché l’amore conta, come canta Luciano Ligabue, ma anche l’onestà intellettuale non è proprio da buttare.