Uno studente di Brescia ci scrive per informarci dei programmi dell’Università che veicolano l’indottrinamento LGBT. Rappresenta un gruppetto di ragazzi che si oppongono alla propaganda ideologica non solo all’asilo, ma anche all’università.
La Commissione Europea nel 1997 indisse il progetto generale Fundamental Rights and Justice, ricomprendente il programma Daphne III per il controllo e la soppressione della violenza coinvolgente “bambini, giovani e donne”, stanziando fondi per un valore medio annuo di 16,7 milioni di euro (che, conti alla mano, ad oggi hanno raggiunto il valore complessivo di ben 283,9 milioni di euro).
Il programma offre una vasta gamma di progetti, taluni anche meritevoli di un plauso morale ed etico, tra cui mi limito a ricordare la campagna contro l’abuso sui minori, quella per la sensibilizzazione sul tema della pornografia ed effetti dannosi conseguenti, quella inerente alla violenza domestica in caso di conviventi tossicodipendenti, quella relativa alla sottomissione delle donne presente nel multiculturalismo nostrano.
Ma, a Brescia, la scelta tra le opzioni è ricaduta su un argomento specifico: la violenza verso le donne lesbiche e transessuali. E’ singolare come, tra tutte le possibilità, sia stata scelta proprio quella che i dati (riportati dallo studio della Pew Research) rivelano essere una costruzione mediatica ad hoc per l’indottrinamento gender.
Inoltre sarebbe curioso analizzare il concetto di uguaglianza tanto acclamato dagli organizzatori di queste iniziative, uguaglianza destinata ad assumere carattere di flessibilità di fronte alle loro rivendicazioni: la violenza nei confronti di un omosessuale è più grave rispetto al caso in cui chi subisce la violenza è una persona con orientamento eterosessuale?
E, nel caso in questione, se una donna venisse maltrattata dalla partner, oppure se una “donna transessuale” (cosa si intende con questo termine è a me sconosciuto?) subisse violenza da parte della persona con cui esce (“dating violence” ) dovrebbe essere più grave rispetto a una violenza proveniente da un partner di sesso diverso? E’ chiaro quindi che, in tal caso, il concetto di “uguaglianza” andrebbe necessariamente ridefinito.
Dicevamo: ecco che a Brescia approda il nuovo progetto (che coinvolge 9 Istituzioni di 8 Paesi) capitanato dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Brescia (con la collaborazione di partner stranieri che, già solo leggendo i nomi, lasciano intendere un’imparzialità rassicurante, quali: Zagreb Pride; Bilitis Resource Center Foundation, Bulgaria; Lithuanian Gay League; ILGA Portugal; Háttér Társaság a Melegekért, Ungheria; Broken Rainbow LGBT Domestic Violence Service, Regno Unito; Cavaria, Belgio), che si è visto stanziare un fondo di 449 mila euro dalla Commissione Europea per condurre una campagna che si concretizzerà nel tentativo di convincere gli studenti che le coppie lesbiche e transessuali vanno riconosciute legalmente, se non altro per evitare che si verificano casi di violenza domestica (che il progetto avrà cura di mostrare e proporre quale conseguenza logica al becero tradizionalismo ancorato al concetto naturale di famiglia).
Il Dipartimento coordinerà un team di 25 “esperti” che si pone come obiettivo quello di “divulgare informazioni per aiutare le persone che sono coinvolte in fenomeni di violenza”. La Docente responsabile annuncia inoltre l’intenzione di aprire un blog e indire un concorso di fotografie e video sul tema: se siete abili con creazione di foto e video, potete candidarvi al concorso e, in caso di vittoria, Rete Lenford vi corrisponderà ben 12.000 euro! Ah, ovviamente è favorito chi ha avuto già esperienze con ONG Lgbt!
Nulla di nuovo sotto il sole, considerando che già a Settembre 2014, la stessa cattedra aveva organizzato un convegno (accreditato dall’Ordine degli Avvocati di Brescia) intitolato “Diritti delle coppie omosessuali”, con cui venne proposta una visione univoca sull’argomento.
Ma com’è possibile che in un’università sia lasciata carta bianca a docenti di questo tipo? Semplice: il Rettore prof. Sergio Pecorelli appoggia pienamente il progetto, guardando con soddisfazione “il riconoscimento del Dipartimento di Giurisprudenza nel ruolo di coordinatore di questo importante studio insieme ai partner europei, con la consapevolezza che proprio le Università rappresentano un punto di convergenza per la ricerca e l’approfondimento di nuovi scenari per la convivenza”. Prendendo atto di tale affermazione, le spiegazioni plausibili si riducono essenzialmente a due: o è ignorante e non sa di cosa si sta parlando, o è in mala fede manifesta (e temo sia questa la risposta corretta).
Il Dipartimento ha ricevuto per il progetto “Bleeding Love: Raising Awarness on domestic and dating violence against lesbians and transwomen in european union” un finanziamento di 449 mila euro dalla Commissione Europea. Il riscaldamento in alcune stanze non funziona, le luci di alcune aule studio lampeggiano e rientrare nella fascia reddituale che consente l’accesso alle agevolazioni universitarie è per molti mera fantasia, ma la Commissione stanzia un fondo di 449 mila euro per una “ricerca” che nasconde (neanche troppo bene) una propaganda d’indottrinamento mirata. Non a caso, la responsabilità scientifica di questo progetto è stata affidata alla prof. Susanna Pozzolo (docente di Informatica Giuridica e assistente di Filosofia del Diritto), in collaborazione con la docente Tecla Mazzarese (ordinaria della cattedra di Filosofia del Diritto e organizzatrice del convegno “Diritti delle coppie omosessuali) e l’Avv. Paola Parolari. Da sempre, queste docenti si preoccupano di promuovere i (dis)valori legati all’ideologia gender, legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso, aborto, eutanasia, esulando dalle materie di competenza e inserendo nell’insegnamento affermazioni propagandistiche da far invidia alla campagna elettorale di Pannella, Bonino & Co.
L’indirizzo assunto dall’Università è evidente a chiunque, soprattutto a chi la frequenta: un indirizzo culturale fazioso, piegato servilmente ai programmi omosessualisti dettati dalle Associazioni Lgbt che, rappresentate dalle tre docenti di cui sopra, riescono a detenere il potere all’interno del Dipartimento.
Gli studenti di Giurisprudenza sono consapevoli di non avere finanziamenti dal valore di mezzo milione di euro, di non poter disporre di tutti i mezzi propagandistici di cui i docenti si possono avvalere. Eppure, noi universitari, nonostante la posizione di svantaggio, non abbiamo intenzione di arrenderci: continueremo ad opporci alla dittatura del relativismo e del pensiero unico, all’indottrinamento gender e omosessualista, alla propaganda anticlericale ed immorale inaccettabile, con gli strumenti che abbiamo a disposizione. Questo è un esplicito contrasto ai poteri forti del Dipartimento, che non abbiamo paura di affrontare, consapevoli di poter perdere tutto, ma non perderemo mai la libertà. “La verità ci renderà liberi”.
Elia B.