23/03/2020

Guida bioetica per terrestri. Da Fulton Sheen al cybersesso. Il nuovo libro di Giulia Bovassi

Il vero problema della bioetica è la comprensibilità, o meglio quella chiarezza spesso mancante che la fa apparire una dottrina quasi esoterica, per pochi iniziati. Lo aveva capito, tra gli altri, lo studioso e sacerdote Ramón Lucas Lucas, che diciotto anni or sono diede alle stampe il suo Bioetica per tutti, e lo ha capito, oggi, la giovane (classe 1991) e già brillante Giulia Bovassi, filosofa e bioeticista appunto autrice del nuovo Guida bioetica per terrestri. Da Fulton Sheen al cybersesso (Berica editrice – collana UOMOVIVO), testo che si annuncia sin dal titolo frizzante ma profondo, accessibile ma capace di calarsi nei dilemmi morali del nostro tempo. Anche perché, come recita il titolo, il nuovo libro della pensatrice padovana – la quale, a dispetto della giovane età, è già research scholar della Cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani di Roma ed è reduce da recenti audizioni parlamentari in materia di discriminazioni di genere -, esso si annuncia come un testo che spazia tra vari argomenti, un vero e proprio vademecum insomma.

 

Dottoressa Bovassi, quando è nata l’idea di questo libro? C’è un episodio particolare che le ha dato ispirazione?

«Non direi che è maturata da un episodio specifico, quanto piuttosto da una sensibilità particolare. Per tenere conferenze o lezioni spesso mi sposto non solo geograficamente, ma contestualmente da ambienti accademici a quelli politici o culturali con uditorio eterogeneo non sempre già svezzato sulla materia, nonostante ciò attratto e coinvolto sia perché stava sopportando del sale sulle sue ferite (magari nascoste) sia per lo stupore di una bellezza sconosciuta. Questo avviene grazie allo spirito della bioetica stessa che amo definire uno sguardo di verità dell’uomo sull’uomo.  Essa è l’esperienza della vita, quella che tutti siamo costretti ad affrontare quando celebriamo una nascita o lottiamo contro il dolore (per toccare due estremi). Il testo fa un percorso lineare che prende avvio dalla lettura di F. Sheen sulla morale sessuale e familiare, procede quindi verso la valorizzazione della differenza sessuale, continua verso l’amore sponsale e giunge alla seconda parte sui dilemmi di bioetica e inizio vita (contraccezione, cybersesso, aborto, fecondazione assistita, aborto post-nascita, etc.). L’itinerario è pensato consequenzialmente: se non partiamo dalla comprensione di noi stessi in quanto creature amate, uomini e donne, chiamati a custodire la vita non capiremo appieno le ragioni per cui l’etica agisce difendendo determinati valori che ci attraversano trasversalmente».

Come descriverebbe Fulton Sheen, il celebre arcivescovo telepredicatore, in due battute, e perché questo richiamo a lui fin dal titolo del suo nuovo libro?

«Un uomo di Dio integro, carismatico e fedele alla Verità. Incontrare questo formidabile telepredicatore statunitense è stato un sussulto di speranza nostalgica perché oggi abbiamo una sete tremenda di uscire dal guscio della tiepidezza, tuonando con fermezza che dentro il messaggio della Croce è sintetizzata la nostra realtà vestita di abiti belli. Credo che Fulton Sheen sia una di quelle figure alla G. K. Chesterton obbligatoriamente da scoprire! Quando mi sono imbattuta nel suo saggio più noto, Tre per sposarsi, ero nei mesi precedenti al mio matrimonio e leggerlo è stato una stampella spirituale verso l’altare. Alla sua voce ho dato un posto in prima fila nel mio testo perché il messaggio comunicato è che amare è sempre una scelta autentica verso l’unicità. Mentre oggi l’unicità ci terrorizza, come il coraggio di schierarsi per il bene, il vero e il bello. Fulton Sheen a questo risponde che “tutte le paure sono scacciate da un grande amore, e l’amore è l’unica cosa che può affrontarle con successo”. L’amore, non il sentimento».

Qual è, a suo parere, l’argomento bioetico più complesso, quello meno agevole da spiegare ai «terrestri»?

«Sono sempre più convinta che l’argomento più ostico sia il fine vita, nella fattispecie eutanasia e suicidio assistito. Questa intuizione me l’hanno trasmessa i miei insegnanti durante gli anni della formazione e ne rimango pienamente convinta. Il mio campo d’interesse preferenziale sono le neuroscienze e il Postumanesimo, cioè la “nuova bioetica” o “neurobioetica” che nel libro accenno all’interno della riflessione sul cybersesso: siamo giunti al tempo in cui i nuovi dilemmi etici e antropologici riguardano il modo in cui annientare la condizione umana che è anche limite, imperfezione, contingenza e caducità. Scenari dove si è già oltre il “dominio” sulla morte. Un campanello d’allarme ci deve suggerire che siamo diseducati alla realtà del dolore, della sofferenza e della malattia. Nessuno sostiene siano facili, ma ciò non significa che abbiano smesso di essere una sorgente di senso per l’essere umano. Perdendo di vista questo sopraggiunge l’autodeterminazione come valore assoluto, anche a discapito della libertà altrui. Proporre degli uomini come arbitri della vita non è un consenso alla libertà, ma alla prevaricazione. Credo che il fine vita rimanga lo scoglio più complesso non per i tecnicismi medici, filosofici, giuridici bensì perché tocca la facciata vulnerabile della nostra identità lasciata all’oscuro. Per comunicare la sacralità della vita pur nella durezza del dolore occorre entrare in punta di piedi».

Ho letto che il volume affronta pure il tema della castità prematrimoniale. Ma ha senso parlarne ancora? Non lo fanno più manco certi sacerdoti.

«Inizio la mia risposta riprendendo una citazione di F. Sheen riportata nel testo: “L’amore consiste principalmente nella volontà, non nelle emozioni o nelle ghiandole. […] La più grande illusione degli amanti è di credere che l’intensità della loro attrazione sessuale sia la garanzia della perpetuità del loro amore”. Egli afferma che “ghiandolare” e “spirituale” siano due elementi da non confondersi o sovrapporre, per evitare una visione consumistica dell’amore confuso con erotismo. Il fatto stesso, come dice lei, che oggi nemmeno certi sacerdoti ne parlino è una resa totale sia per la teologica del corpo sia per la morale sessuale: infatti, quando si spiega che castità pre-matrimoniale e continenza coniugale soni stati camuffati ideologicamente in disordine dall’epoca post-moderna, privazioni illogiche e dannose, riaffiora una forte curiosità nel cuore delle persone. Questo accade perché tornare a parlare di castità con il linguaggio della bellezza come di un’attesa feconda verso l’unione sessuale che è, per natura, un legame aperto alla procreazione e lì ha la sua ragione, fa capire che la morale sessuale intesa in tal senso è l’unica che davvero valorizza il piacere sessuale senza denigrarlo o mistificarlo. Ciò stupisce perché la post-modernità ci ha abituati a inseguire il piacere, bruciandolo e rimanendo costantemente insoddisfatti. Talvolta la mancanza di “attesa” favorisce atteggiamenti di promiscuità per auto-godimento cercando nell’altro un oggetto di soddisfacimento, ledendone così la dignità con conseguenze non di rado devastanti».  

Un’ultima domanda di attualità. Secondo lei la tragedia del coronavirus aiuterà una riscoperta, in tutti noi, dei valori fondamentali che dovrebbero ispirare anche la bioetica?

«La ringrazio per questa domanda che ritengo di fondamentale importanza oggigiorno. Ahinoi, il dramma che sta attraversando il nostro Paese è l’emblema della “prova”: qualcosa di imprevisto rompe l’ordinarietà e ci scuote a 360° imponendoci una tregua dal benessere, dalla frenesia, dalla libertà e, perché no, anche dagli scheletri affettivi latenti in un angolo buio delle nostre vite che ora vorremmo avere il modo di risolvere stimolati dall’inquietudine delle distanze. Siamo costretti al silenzio e ad atteggiamenti contemplativi, a rivoluzionare il nostro stile di vita e ciò a cosa conduce? A tornare all’essenziale. Penso ad alcuni valori fondamentali come la preziosità della vita e della salute, pur consapevoli che essi non rappresentano un assoluto, ovvero sono beni inalienabili ma pur sempre soggetti a un concetto centrale in tutto questo: vulnerabilità. Penso alla libertà, spesso data per scontata. Un virus invisibile ha capovolto un sistema globale mettendoci a dura prova con la nostra precarietà. Come dicevo tutti i dilemmi bioetici riconducono a due polarità: fragilità (fare i conti con la nostra natura mortale) e delirio di onnipotenza (perdita totale di metafisica, etica e spiritualità). Entrambi sono protagonisti dello scenario attuale, spetta a noi evolvere questa desolazione emotiva che ci sta travolgendo come disperazione o rinascita di ciò che consideravamo superfluo. Non solo, altri valori fondamentali di cui fa tesoro la bioetica stessa, sono la solidarietà e la sussidiarietà poiché ci siamo riscoperti persone capaci di gratuità ed empaticamente interconnesse grazie alla nostra umanità».

 

di Giuliano Guzzo

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