02/07/2021 di Giuliano Guzzo

I veri discriminati che non corrono in Mercedes come Malika

Una pagina di cronaca certo non entusiasmante, quella emersa in queste ore su Malika Chalny, la ventiduenne di Castelfiorentino finita sui giornali nei mesi scorsi perché cacciata di casa dalla famiglia – così si scrisse - in quanto lesbica; è infatti emerso che la giovane, della somma messale assieme con una raccolta fondi avviata per aiutarla, non ha fatto un uso esattamente esemplare, dal momento che ha acquistato un’auto – e fin qui nulla di male – della Mercedes, storico marchio di lusso tedesco che poco ha a che vedere, come noto, con chi sia alla disperata ricerca di un sostentamento.

L’ammissione dell’incauto acquisto è stata fatta direttamente dalla giovane in un’intervista rilasciata a Selvaggia Lucarelli su The Post Internazionale. «Ho preso la casa in affitto a Milano, abbiamo dato un anno di affitto più duemila euro di caparra», ha infatti spiegato Malika, «poi ho pagato dentista, avvocato, ho comprato dei vestiti. Non avevo niente, era rimasto tutto a casa dei miei. Adesso ho avuto delle spese per la macchina». Secondo quanto trapelato, l’acquisto dell’auto vettura sarebbe costato alla giovane poco meno di 20.000 euro, 17.000 per l’esattezza, ma non è evidentemente tanto e solo una questione di importi quanto, invece, di principio: chi cerca un tetto, difficilmente cerca una Mercedes.

Detto ciò, in realtà, non è neppure il caso d’infierire sull’uso poco avveduto – per usare un eufemismo – dei fondi da parte della ventiduenne di Castelfiorentino, la quale peraltro pare abbia già una sua agente, altro dettaglio che più da star della televisione, che da giovane in affannosa fuga dall’indigenza. Ma sorvoliamo; peccati di gioventù, si sarebbe detto in altri tempi. Il punto vero, qui, è quello della discriminazione e del reale contrasto a chi sia in difficoltà. Un tema che, forse, le care associazioni Lgbt per prime – che tanto hanno cavalcato questa vicenda - dovrebbero decidersi a sviluppare in modo più serio, evitando il ripetersi di casi del genere.

Tale sottolineatura nasce sulla base di due profili. Il primo riguarda chi sia realmente vittima di discriminazioni: quanti giovani bullizzati o cacciati di casa per motivi legati al loro orientamento – ma anche a tanti altri -, vengono ignorati dai media e dalle stesse associazioni arcobaleno? Forse, prima di buttarsi a capofitto su una storia, sostenendo sì una giovane in difficoltà, ma facendone presto una piccola star che gira in Mercedes e concorda le mosse con la sua agente, come una sorta di piccola Lady Gaga, bisognerebbe pensarci due volte. Perché così si corre il rischio, ecco il punto, di dimenticare tante vittime di discriminazioni, quelle più crudeli perché si consumano e si perpetuano nel silenzio e, soprattutto, nell’indifferenza.

Il secondo spunto - o dilemma - che questa vicenda inevitabilmente alimenta è il seguente: siamo sicuri che la sacrosanta battaglia contro le discriminazioni, spesso, non diventi business o, addirittura, non sia ormai a tutti gli effetti un vero e proprio nuovo business, che gode di ottima fama sotto il profilo mediatico salvo poi generare non aiuti ma repentini quanto opinabili arricchimenti? Pare il caso di porsi questo dilemma senza pensare ad un caso singolo. In effetti, qui, il problema è generale. Ed è serio, soprattutto.

Per un motivo semplice: raccogliere o muovere ragguardevoli somme di denaro in favore solo di alcuni discriminati – guarda caso, quelli cari alla narrazione dominante centrata sui  «nuovi diritti» -, ignorando quasi del tutto tantissimi altri – si pensi ai cristiani che nel mondo, per la loro fede, ogni giorno rischiano la vita a migliaia e migliaia -, oltre al danno comporterebbe pure la beffa. E purtroppo si dà il caso che non si sia affatto lontani da questo scenario, così paradossale ed amaro.

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