26/03/2021 di Filippo Savarese

Il diritto di criticare (bene) l'aborto

Una studentessa diciottenne di Piacenza, rientrata a scuola dopo aver abortito, ha trovato alcuni post-it attaccati nei pressi della sua classe con immagini stilizzate di un feto corredato da frasi allusive alla sua natura umana: “questo eri tu” e “ho bisogno di affetto”. Né le immagini né le frasi avevano alcun contenuto personale offensivo, cruento, sadico o violento, né erano indirizzate esplicitamente alla ragazza (implicitamente sì, com’è ovvio).
 
Si è immediatamente scatenato un putiferio “social-mediatico” che ha assunto proporzioni abnormi rispetto ai fatti in questione, passando dalla promessa della dirigente scolastica di identificare il responsabile alla presentazione di esposti per acclarare il verificarsi di eventuali reati (nientemeno).
 
Eppure, non si ricordano simili reazioni dopo la recente ‘processione’ inscenata da un collettivo femminista a Roma dietro l’enorme riproduzione di una Madonna con le fattezze di un organo genitale, in segno di protesta contro un parroco “omofobo” che si opponeva alla rimozione della statua sacra davanti alla sua Chiesa per ragioni di viabilità. Anche perché ben pochi organi di stampa ne hanno dato notizia.
 
Tornando al caso di Piacenza, comunque, è ancora incerto se il movente dell’anonimo autore, che nel frattempo si è scusato tramite un volantino anch'esso non firmato, sia stata l’autentica difesa della vita nascente o non, piuttosto, la goliardata di pessimo gusto di qualcuno che voleva “solo” prendere di mira la ragazza usando (con bruta ignoranza) un pretesto come un altro. 
 
In ogni caso, va chiarito che le modalità dell’iniziativa non sono assolutamente condivisibili nemmeno nell'ottica pro-vita, riducendosi il tutto a una mera provocazione anonima, peraltro successiva a un aborto già realizzato, quindi (comunque la si pensi) inutile.
 
Le ragioni della tutela della vita e della dignità dell’essere umano anche nei primi stadi del suo sviluppo sono talmente forti e autoevidenti (aggiungerei anche “belle”) che non si può temere di ‘metterci la faccia’, argomentandole apertamente come esse meritano; in tal senso, la comunicazione personale, che consente di entrare pienamente in relazione con l’altro chiarendo così le vicendevoli identità e prospettive in un contesto di assoluto rispetto, è senz’altro la via maestra. Proprio perché la vita umana ‘merita’ di essere tutelata, ‘merita’ una relazione personale - pienamente umana - chi noi vorremmo provare a distogliere dall’insano proposito. La madre non ci sta meno a cuore del figlio, e spesso è proprio questo “argomento” che scardina le resistenze più disperate.
 
Ciò non significa che, in certe circostanze, oltre che del tutto lecito sia anche utile allo scopo comunicare tramite messaggi visivi molto simili a quelli di cui si tratta. Migliaia di donne, infatti, hanno liberamente scelto di non abortire dopo aver visto, spesso casualmente, l’immagine stilizzata e innocua del figlio che stavano portando in grembo, accompagnata da qualche frase altrettanto innocente e vera come “anche tu eri così” o simili. Oggi, quelle donne ringraziano il cielo per la ‘fulminante” presa di coscienza che ha salvato due vite in una.
 
Comunque sia, un conto è usare questa forma di comunicazione, ad esempio, in funzione di una campagna di sensibilizzazione sociale tramite affissioni pubbliche rivolte alla generalità dei cittadini, altro conto è affiggere bigliettini vicino alla classe di una giovane studentessa coinvolta in una vicenda abortiva, violandone la privacy e attirando un’attenzione collettiva morbosa verso il suo caso particolare. Una scelta, va detto con chiarezza, decisamente abietta.
 
Non si può tollerare, però, come si stia ingigantendo e strumentalizzando il fatto al fine scagliarsi non contro le sue modalità ma contro i suoi contenuti. La quasi totalità dei commenti negativi si è concentrata nel condannare il fatto che ci si possa ancora ‘permettere’ di contrapporre alla scelta di abortire l’opinione che l’aborto sia la soppressione di una vita già pienamente umana e in quanto tale già pienamente tutelata da inviolabili diritti fondamentali. 
 
I quotidiani definiscono “vergognose e offensive” le immagini e le frasi riportate sui post-it, anche se si tratta di immagini vere e frasi assolutamente innocenti. La stessa giovane studentessa ha riferito di essersi sentita “offesa” dal contenuto dei biglietti, e di voler incontrare l’autore per spiegargli perché l’aborto sia una libera scelta e non "una vergogna”.
 
Il problema, quindi, non sarebbe il (pessimo) modo con cui qualcuno ha sostenuto argomenti pro-vita, ma il fatto stesso che li abbia sostenuti. Non si denuncia una gravissima mancanza di rispetto o, al limite, gli estremi di una violazione del diritto alla privacy. Si denuncia un fantomatico "reato di opinione anti-abortista".
 
La soluzione, di conseguenza, non è assicurarsi che, in futuro, il ragazzo o la ragazza usi metodi più civili per sostenere le sue opinioni, ma assicurarsi che le cambi radicalmente, poiché sono in se stesse “offensive dei diritti delle donne”. Non meraviglierebbe se, una volta scoperto, il ‘colpevole’ fosse obbligato dalla scuola (o peggio da un giudice) a seguire seminari e corsi sull’aborto tenuti da attiviste ultra-femministe.
 
Si va sempre più rafforzando l’idea che il “diritto di abortire” comprenderebbe anche il diritto di non subire critiche o comunque di sottrarre la propria scelta al giudizio altrui. Prova ne sono gli ormai numerosi casi in cui amministrazioni comunali hanno censurato campagne di sensibilizzazione pubblica sul tema dell’aborto perché “lesivi della dignità della donna”, non si sa precisamente in che modo. Un simile “diritto di non essere giudicati” o di “non sentirsi offesi”, però, non può esistere in una società che voglia mantenersi minimamente democratica. L’aborto è stato sottoposto a referendum, massima espressione di giudizio popolare, e il fatto che il 70% dei cittadini si siano espressi a favore dell'aborto non priva il 30% del diritto perenne di continuare a combatterlo.
 
Chiunque abbia attaccato quei biglietti nel liceo di Piacenza, se veramente crede ai concetti più generali a cui si riferiscono, necessita con urgenza di riconsiderare a 360 gradi il suo modo di relazionarsi con gli altri (con ogni probabilità anche oltre la questione dell’aborto...); ma ha, comunque, tutto il diritto di restare fermamente convinto che l’aborto sia “una vergogna”, e di opporre le sue ragioni alla scelta della compagna, nel caso in cui la sua vicenda fosse occasione di un consensuale confronto pubblico o privato.
 

AGGIORNAMENTO 27/03/2021

Recenti sviluppi della vicenda riportata nell’articolo smentiscono la versione diffusa dai social network e dalla stampa (sempre più indegna di qualsiasi credibilità). Le immagini del feto sarebbero state attaccate nella scuola dopo un progetto di scienze, circa due settimane prima che la ragazza abortisse e comunque senza alcun riferimento alla sua vicenda, di cui nulla si sapeva. La ragazza e l’autore del fatto (con cui mi scuso per tutto quanto ingiustamente supposto sul suo conto) si sarebbero già ‘chiariti’. Benché travisata, la vicenda ha suscitato reazioni che, ritengo, rendono comunque opportuno tenere online questo commento.

Questo articolo e tutte le attività di Pro Vita & Famiglia Onlus sono possibili solo grazie all'aiuto di chi ha a cuore la Vita, la Famiglia e la sana Educazione dei giovani. Per favore sostieni la nostra missione: fai ora una donazione a Pro Vita & Famiglia Onlus tramite Carta o Paypal oppure con bonifico bancario o bollettino postale. Aiutaci anche con il tuo 5 per mille: nella dichiarazione dei redditi firma e scrivi il codice fiscale 94040860226.