Lo scorso 28 marzo a Montecitorio, presso la Sala del Mappamondo della Camera dei Deputati, si è svolto l’incontro “Focus su Famiglia, Etica e Vita”, un evento di rilievo per il dibattito sui valori fondamentali della nostra società. L'incontro ha visto la partecipazione del vicepresidente della Camera dei Deputati, Fabio Rampelli, e di numerosi esperti e rappresentanti del mondo accademico e associativo, tra i quali una delegazione di Pro Vita & Famiglia onlus. Il convegno ha dunque rappresentato un'importante occasione per riaffermare l'impegno delle istituzioni e della società civile nella difesa della vita, della famiglia e della libertà educativa, valori fondamentali per il futuro del nostro Paese.
L’intervento di Brandi sul fine vita
«Dobbiamo riflettere seriamente sul cosiddetto “fine vita” poiché in realtà non si tratta di vita, ma di morte e dalla morte non si torna indietro», ha spiegato Antonio Brandi, presidente di Pro Vita & Famiglia onlus, che nel suo intervento ha ricordato le parole di D.J. Fabo, che nella sua ultima lettera scrisse: «Le mie giornate sono intrise di sofferenza e di disperazione, non trovando più il senso della mia vita ora». Ma, secondo Brandi, il desiderio di morte espresso da Fabo non era un vero desiderio libero. «D.J. Fabo voleva davvero morire? No. Il suo fisiatra stesso ammise che “nessuno è stato in grado di dargli motivazione sufficiente per continuare ad amare la sua vita”». Ed è proprio qui che Brandi ha invitato a mettere in discussione quello che definisce un «dogma dell'autodeterminazione».
«Quando si è giovani e sani si pensa “meglio morire che soffrire”. Ma quando si è malati, vecchi, nel dolore, nella disperazione, non si è liberi. Si è disposti a tutto pur di fuggire il dolore. E allora bisogna sopprimere la sofferenza, non il sofferente». Secondo Brandi, applicare il principio dell'autodeterminazione al tema della morte significherebbe giustificare il suicidio di depressi e anoressici, normalizzando una deriva inaccettabile. «La morte non è una libertà: è una scorciatoia fatale». Con tono critico ha denunciato quella che ha chiamato «la strategia Pannella»: partire da casi drammatici ma isolati, «mediaticamente potenti», per forzare un cambiamento legislativo. «Non si può costruire una legge collettiva su casi rari. È una falsa narrativa che trasforma eccezioni in emergenze».
Brandi ha ricordato che l’ordinamento italiano già garantisce strumenti per chi rifiuta le cure, come previsto dalla Costituzione, dalla legge 219 e dal codice deontologico. «Se ho una cancrena al braccio e rifiuto l’amputazione, ho diritto a ricevere antidolorifici fino alla morte. È successo al cardinale Martini. Non serve legalizzare l’eutanasia per garantire una morte dignitosa». Inoltre, proprio sulle cure palliative, ha lanciato un grido d’allarme: «A quindici anni dalla legge 38, solo il 23% degli aventi diritto vi ha accesso. E tra i bambini, si scende al 15-18%». Citando dati dell’Università Bocconi e dell’Istituto Italiano di Pediatria, ha chiesto con forza che il Parlamento investa per garantire a tutti questo diritto fondamentale.
Infine, un appello alla coscienza e alla responsabilità politica: «Solo 12 Paesi su 194 hanno legalizzato eutanasia o suicidio assistito. In Canada, si propone l’eutanasia come “cura” alla depressione. In Olanda, una persona su cinque viene uccisa senza consenso esplicito. È questo che vogliamo per l’Italia?» La conclusione è stata una domanda, ovviamente retorica, rivolta direttamente alle istituzioni: «Oggi il 77% dei malati aventi diritto non riceve cure palliative. Quale dovrebbe essere la priorità di uno Stato civile? Facilitare il suicidio o prevenirlo? Curare il sofferente o sopprimerlo?».
Le parole di Ruiu sulla vita nascente
Sul tema della vita nascente, invece, ha preso la parola - anche lei in collegamento video - la portavoce di Pro Vita & Famiglia onlus, Maria Rachele Ruiu, che ha lanciato un forte appello alla politica e alla società civile proprio per rimettere al centro questo tema. In un clima in cui la natalità viene spesso evocata come urgenza demografica, ma raramente legata alla cultura del rispetto e della tutela del concepito, Ruiu ha posto una domanda scomoda ma fondamentale: che ne è del valore della vita quando si parla di aborto?
«Oggi abbiamo parlato tantissimo di natalità – ha esordito – ma io rappresento a voi un problema molto grave, a prescindere dalla legislazione: il fatto che oggi non c'è la preferenza per la vita». Secondo la portavoce di Pro Vita & Famiglia, la cultura dominante ha spostato il baricentro valoriale, fino a far sembrare la scelta dell’aborto non solo neutra, ma addirittura preferibile rispetto alla maternità. «Nei consessi pubblici, anche in Parlamento o in televisione, sembra che scegliere l’aborto o scegliere la vita sia quasi egualitario. Anzi, sembra quasi preferibile l’aborto».
Una distorsione culturale che, secondo Ruiu, non può essere lasciata senza risposta. Serve «un’azione culturale che smonti questa grande bugia», anche mediante un lavoro legislativo capace di restituire dignità alla maternità e riconoscere pienamente il valore del concepito. «Come si fa a convincere i giovani che mettere al mondo un figlio è una cosa bella – ha domandato – se continuiamo a dire che i figli impediscono la realizzazione personale, la carriera, lo studio?».
Ruiu ha sottolineato l’urgenza di promuovere una narrazione alternativa che non riduca il figlio a un ostacolo o a un costo. «Non è vero che abortire è uguale o anzi è meglio che accogliere la vita. Sarebbe bellissimo riconoscere giuridicamente il concepito». E ha aggiunto, con forza: «Oggi sembra quasi che se qualcuno convince una donna a non abortire faccia un’azione violenta. Invece a me verrebbe da dire: che male fa se nasce un bambino?».
Sul piano concreto, Ruiu ha rilanciato l'importanza di sostenere le donne in difficoltà, rafforzando i consultori familiari orientati alla prevenzione dell’aborto e mettendo in rete i Centri di Aiuto alla Vita (CAV). «Questi benedetti CAV stanno salvando tantissimi bambini – ha detto – e permettetemi di dire anche tantissime donne, perché una madre che abortisce non lo fa a cuor leggero». E ha ricordato il modello positivo del Fondo Vita Nascente del Piemonte, invitando a replicarlo su scala nazionale.
La portavoce di Pro Vita & Famiglia onlus ha poi insistito sull’importanza di una corretta informazione. «Oggi le ragazzine pensano veramente che c’è un grumo di cellule nella pancia, nonostante siamo nel 2025 e tutti conosciamo l’ecografia». Ha denunciato la mancata consapevolezza delle conseguenze fisiche e psicologiche dell’aborto e l’ingiustizia di un sistema che permette l’aborto tardivo in caso di disabilità: «La 194 è discriminatoria. Se hai un figlio sano lo puoi abortire fino alla dodicesima settimana, ma se ha la sindrome di Down lo puoi abortire fino alla ventiduesima o ventitreesima».
Non sono mancati riferimenti a proposte legislative concrete, come l’introduzione del reato di duplice omicidio nei casi di femminicidio con gravidanza. Ma anche politiche familiari più strutturate e inclusive: congedi flessibili, estesi anche ai padri, un “tesoretto” familiare di giorni a disposizione, il riconoscimento della malattia per i figli anche oltre l’età attualmente prevista, fino all’istituzione di un vero e proprio reddito di maternità.
Il suo intervento si è concluso con un richiamo coraggioso: «Serve una rivoluzione culturale che dica con coraggio che è giusto, che è buono provare a convincere le donne a non abortire. Oggi sembra che, se lo facciamo, stiamo commettendo una violenza. Invece è chiaro che la violenza è il contrario».