In altri tempi, sarebbe stata etichettata come un’amena moda giovanile. Adesso a storpiare le parole è un Ministero. Non un Ministero qualsiasi ma quello dell’Istruzione che ha ufficialmente sdoganato la schwa, ovvero la vocale passpartout “ə” che rende qualsiasi sostantivo o aggettivo neutro o, quantomeno, asessuato.
Questo vezzo neolinguistico non nasce certo come slang tra ragazzi di strada. Non vi è nulla di “pop” nella schwa. Non siamo di fronte a un’espressione diffusasi spontaneamente. È, al contrario, un vero e proprio linguaggio da laboratorio, ideato a tavolino tra le ovattate aule dei campus americani liberal, in quegli ambienti un po’ snob, popolati (forse) da menti brillanti ma, in un certo senso, isolate in una realtà parallela, avulsa dai problemi che accomunano il 99% della popolazione mondiale. Facile intuire che gli inventori della schwa sono tra i più convinti sostenitori dell’ideologia gender e ne rappresentano il “braccio lessicale”.
Ebbene, in alcuni recenti documenti ufficiali del Ministero dell’Istruzione (per quanto concerne l’Abilitazione Nazionale Scientifica 2021-2023) si legge: «[…] lə Commissariə che rileva una situazione di incompatibilità con una persona che si candida si astiene da qualunque attività di valutazione e chiede al MIUR con apposita istanza, motivata e formata, di essere sostituitə limitatamente alla valutazione della predetta persona». Come si vede, rimangono al maschile o al femminile i nomi o gli aggettivi generici e astratti (es. “persona”) ed invece assumono forma neutra quelli riferiti a qualifiche assunte da uomini o donne specifici e concreti. Pertanto, per non sminuire alcuno dei sessi, non c’è alcun «commissario» o «commissaria» ma soltanto un «commissariə».
La schwa è parente stretta del più noto asterisco, ormai così familiare nella burocrazia scolastica: «Gentilissim*» è ormai espressione ricorrente nelle circolari d’istituto, rivolte a docenti, allievi o genitori. Un pugno in un occhio all’estetica crittografica, per non parlare, poi, di un dilemma non da poco: se si volessero esprimere oralmente le parole provviste di “ə” o di “*”, come si pronuncerebbero?
Eppure, ciò che è stato istituzionalizzato nei seriosi uffici del Ministero dell’Istruzione sembra non trovare il favore dei linguisti italiani. «Non esistendo lo schwa nel repertorio dell’italiano standard, non vediamo alcun motivo per introdurlo», ha affermato lapidario l’accademico della Crusca, Paolo d’Achille. Da parte sua, Roberta D’Alessandro, professoressa di Sintassi e variazione linguistica presso l’Università di Utrecht, sostiene che «il cambiamento linguistico non accade mai come risultato di un ragionamento a tavolino».
La “schwa”, quindi, è nient’altro che una neolingua artificiale, né più né meno come la neolingua di orwelliana memoria. Un linguaggio asettico che, più che alla modifica del modo di parlare o scrivere, punta, più ambiziosamente, a cambiare il mondo di pensare. Cosicché, a poco a poco, inconsciamente, nella mente di chi prende a parlare o a scrivere con fonemi nuovi e bizzarri, si fa strada l’idea di un mondo che ha abbattuto tutte le disuguaglianze, a partire da quelle di genere, in cui il maschile e il femminile saranno retaggi di un passato conflittuale e divisivo, in nome di un trionfante quanto asettico neutro. Un linguaggio così potrebbe in teoria anche finire per essere adottato e apprezzato dalla gente comune ma non rispecchierà mai quella che è la reale ed autentica natura della mente umana.