Un frutto bacato dell’ideologia gender (che vuole che ciascuno possa essere “come si sente”) è la moda, cominciata nelle università ed ora approdata nei posti di lavoro e nei licei, di consentire che ognuno possa essere considerato del “genere” che desidera, adeguando ad esso i registri e gli altri documenti interni. Dunque la famigerata Carriera Alias. Questo a prescindere dalla rettifica del nome e del sesso che potrebbe essere disposta dal tribunale sugli atti anagrafici (la quale rettifica anagrafica può avvenire anche senza aver completato la “transizione” chirurgicamente).
La carriera alias: prima all’università, poi al liceo. Poi alle medie e quindi alle elementari
Un recente comunicato stampa dell’università di Torino ci rende noto che la «carriera alias [è] estesa a tutto il personale».
Precisa che l’UniTo «è stata la prima in Italia a introdurre nel 2003 il doppio libretto universitario per studenti in transizione di genere e nell’anno accademico 2013/2014 ha adottato una nuova procedura per l’attribuzione della carriera alias, finalizzata alla fruizione dei servizi telematici e informatici, erogati attraverso il portale dell’ateneo. Ora la carriera alias è stata estesa a chiunque faccia parte della comunità universitaria. In sinergia con il Comitato unico di garanzia (Cug), UniTo pone in essere le misure di protezione per le persone che abbiano la necessità all’interno dell’ateneo, di un nome diverso rispetto a quello anagrafico. Una scelta per garantire il benessere psico-fisico di coloro che studiano e lavorano in ateneo e per favorire la realizzazione di un ambiente inclusivo. “Questo è un ulteriore passo nella battaglia contro le discriminazioni”, ha dichiarato il Rettore Stefano Geuna durante la presentazione del Torino pride, che si è svolto il 18 giugno».
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Il comunicato continua spiegando che «l’assegnazione di una carriera alias prevede un’identità provvisoria, transitoria e non consolidabile, al fine del rilascio di nuovi documenti di riconoscimento (smart card), di un nuovo account di posta elettronica e di targhette identificative, quando necessarie. È inscindibilmente associata a quella riferita all’identità anagrafica legalmente riconosciuta e resta attiva per tutta la durata di quest’ultima, salve eventuali richieste dell’interessato/a.
L’attivazione può essere richiesta da chiunque partecipi alla comunità universitaria. Può essere anche autorizzato il riconoscimento temporaneo di una identità alias in favore di ospiti dell’Ateneo che, in occasione di attività seminariali, convegni, cicli di lezioni o altre iniziative, intendano utilizzare su locandine, cartellino identificativo e su ogni materiale informativo relativo all’iniziativa, un nome alias scelto in sostituzione dell’identità anagrafica ufficiale».
È abbastanza chiaro? Giovanni “si sente” Giovanna e si fa fare libretto universitario, tesserino di riconoscimento e ogni altro documento universitario come Giovanna. La nuova identità è «provvisoria, transitoria e non consolidabile» (per via della fluidità di genere), è legata all’identità anagrafica finché l’interessato/a non richieda altrimenti: magari un giorno sì e uno no?
Come l’Università di Torino, così molti altri atenei, dal nord al sud d’Italia (da Genova a Verona, dalla Basilicata a Milano - sia alla Statale, sia alla Bicocca -, e poi a Udine, Trento, alla Ca’ Foscari di Venezia, a Padova, Pavia, Bologna, Firenze, Urbino, Perugia. Alla Federico II e all’Orientale di Napoli, a Salerno, Bari, Lecce, Messina, Palermo, Catania, Brescia, Genova, e - a Roma - a La Sapienza e RomaTre).
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Ora cominciano anche le scuole superiori. Per esempio il liceo Brotzu a Quartu Sant’Elena, in provincia di Cagliari, il liceo Paolina Secco Suardo di Bergamo, il liceo Scacchi di Bari, il liceo artistico Nervi Severini di Ravenna, il liceo artistico Russoli di Pisa e Cascina, l’Istituto Sassetti Peruzzi di Firenze, un paio di licei di Lecce e uno di Copertino, in provincia…
Così è successo all’estero, dove già la carriera alias è oggi resa fruibile alle medie inferiori e alle elementari. Anche senza il consenso dei genitori. Anzi. L'opposizione di questi all’avvio della “transizione” del figlio può costare la perdita della patria potestà o addirittura il carcere. Questa deriva da noi è ancora agli inizi, ma va stroncata finché siamo in tempo.
Assecondare una farsa menzognera
È un fatto grave che le istituzioni pubbliche, culturali ed educative si adeguino alla farsa del transgenderismo, perdendo di vista la realtà. È grave che contribuiscano a danneggiare le persone fragili, illudendole che con un travestimento o - peggio - con un intervento farmacologico con gravi effetti collaterali o addirittura con un’operazione mutilante di chirurgia plastica possano risolvere le loro fragilità.
Ma questo comportamento è ancor più grave tanto più scende l’età delle vittime (sì: vittime) dell’ideologia gender. All’università si presume che tutti gli studenti siano - almeno - maggiorenni. A scuola no. E favorire o addirittura promuovere il transgenderismo tra i minorenni, lungi dall’essere una forma di inclusività, è un comportamento abusante.
La carriera alias nelle scuole non aiuta i “desisters”, cioè quegli adolescenti (l’80 - 90%) che pur avendo dato cenni di disforia di genere durante l’infanzia, con la pubertà superano spontaneamente il problema e ritrovano il pieno benessere nella accettazione del loro sesso biologico. La carriera alias confonde chi è già confuso, chi avrebbe bisogno di fare chiarezza in se stesso e soprattutto di essere amato come la natura l’ha fatto.
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Se avessimo legislatori sani di mente, sarebbe da punire severamente chi promuove il transgenderismo tra i giovanissimi. Lo sostiene il procuratore generale del Texas, Ken Paxton: ma è un “cattivo omofobo repubblicano”? Ebbene lo sostengono professionisti - essi stessi transgender - di fama mondiale come il chirurgo specializzato in vaginoplastica Marci Bowers e lo psicologo Erica Anderson, membri della World Professional Association for Transgender Health (Wpath). Invece, in più Paesi, ai professionisti della salute viene vietato - a volte con legge - di confermare i pazienti nel loro sesso biologico: sono obbligati dagli ordini professionali e talvolta dalla legge a confermarli nel “genere percepito”. Se non lo fanno rischiano il posto di lavoro.
Non vogliamo qui ripetere quello che gli Abbonati a questa Rivista hanno potuto leggere molte volte: abbiamo le testimonianze sempre più numerose e sempre più tragiche dei “detransitioners”, persone che si sono rese conto che il “cambiamento di sesso” è stato un grosso errore e soprattutto un’illusione infranta. Persone che hanno avuto il coraggio di intraprendere il difficile e doloroso percorso necessario a riacquistare le sembianze corrispondenti al proprio sesso biologico. E che sono di solito “cancellate”, emarginate e perseguitate dai gruppi Lgbtqia+.
Insomma, la carriera alias, aldilà dei problemi etici, giuridici e familiari non trascurabili che solleva, rischia di rivelarsi assai nociva proprio per quei giovani che secondo una certa ideologia dovrebbero giovarsene. Si sa del resto che l’ideologia è cieca: non vede più la realtà. Come non vede il sesso che la natura ha dato alle persone, così non vede il loro vero interesse e le loro vere esigenze di salute.
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Per questo Pro Vita & Famiglia ha lanciato diverse petizioni e una campagna nazionale affinché sia esplicitamente vietato alle scuole di consentire agli studenti la carriera alias.
La carriera alias: arma di “distrazione di massa”
Ha detto il filosofo Diego Fusaro a RadioRadio: «Con una mano tolgono i fondi all’istruzione pubblica, con l’altra concedono diritti low cost che non incidono sulla spesa pubblica e che, al tempo stesso, nascondono la de-emancipazione in atto». Sono «armi di distrazione di massa» e, al tempo stesso «armi di divisione di massa», in quanto non fanno altro che fomentare il conflitto «tra omosessuali ed eterosessuali», ponendo artificiosamente in secondo piano i tagli alla scuola e all’università pubbliche, a tutto danno degli «sconfitti della globalizzazione». Infatti, all’università Gabriele D’Annunzio di Pescara, a contestare l’innovazione è una parte significativa degli studenti, che lamenta come, la dirigenza abbia cancellato alcune misure di welfare interno, che prevedevano aiuti a studentesse in sopravvenuto stato di gravidanza e a studenti che hanno perso casa in terremoti o altre calamità naturali, mentre appena quattro studenti sui circa 27mila si sono dichiarati transgender.
Atto viziato da incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge
Le scuole che introducono la carriera alias si appellano al Dpr 275/1999 che ha sancito l’autonomia delle istituzioni scolastiche. Il cui articolo 4, però, presuppone la libertà di insegnamento e la libertà educativa delle famiglie, nel contesto delle norme giuridiche vigenti. Quindi la suddetta autonomia scolastica non può esercitarsi senza una norma a suo fondamento giuridico. E una norma in materia non c’è. Per autonomia scolastica, infatti, non si intende la libertà di autodeterminazione dei percorsi formativi (che sono di competenza del legislatore), ma la flessibilità nel poter operare all’interno di un quadro normativo precostituito.
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La scuola non ha potere di modificare i dati anagrafici depositati agli atti. Si rischia persino di commettere il reato di falso in atto pubblico. Per esempio quando agli scrutini si dichiara la composizione della classe fatta da un certo numero di maschi e di femmine, che poi non corrispondono ai dati relativi agli alunni contenuti in ogni scheda nominativa. È il Comune che è tenuto all’aggiornamento dei Registri dello stato civile, ivi comprese eventuali rettifiche disposte dall’autorità giudiziaria. Quindi ogni provvedimento della scuola che interferisca con detti registri è chiaramente viziato da incompetenza.
L’atto, inoltre, dovrebbe essere adeguatamente motivato e non può limitarsi ad un generico richiamo alla mera istanza fatta dallo studente richiedente. Dovrebbe essere valutato il rischio da gestire, nonché i danni prospettabili qualora si facilitasse il desiderio di transizione sociale senza un solido e fondato percorso psicologico. Se lo studente poi decidesse di “detransizionare” (i casi in cui ciò succede sono in continuo aumento) potrebbe ritenere la scuola corresponsabile del danno subito.
Andrebbero inoltre valutati gli effetti che la carriera alias produce nella comunità scolastica: se in essa non ci sono problemi di discriminazione e/o di bullismo nei confronti del soggetto considerato, non serve che si celi la sua vera identità. Se viceversa tali episodi sussistono, non sarà celando l’identità del ragazzo in questione che si educa al rispetto: bisogna intervenire sui bulli, non sul bullizzato.
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Dirigenti scolastici e corpo docente, sono pubblici ufficiali e quindi chiamati a rispettare la legge, inoltre per il principio di imparzialità non possono operare discriminazioni. E se un alunno volesse essere considerato un animale (trans-specie) o di un’età diversa da quella anagrafica (trans-age)? Perché il “genere” deve essere preso in considerazione e questi altri dati no? E i Lettori non sorridano agli esempi fatti, perché i trans-age e i trans-specisti già esistono e fanno parlare di sé.
Oltre a tutto questo, la sentenza 180/2017 della Corte costituzionale riconosce, sì, che per ottenere la rettificazione del sesso non è obbligatorio il compiuto intervento chirurgico di chirurgia plastica, ma richiede «la necessità di un accertamento rigoroso non solo della serietà e univocità dell’intento ma anche dell’intervenuta oggettiva transizione dell’identità di genere» ed esclude «che il solo elemento volontaristico possa rivestire prioritario o esclusivo rilievo ai fini dell'accertamento della transizione». E invece «il solo elemento volontaristico» è proprio quell’identità di genere fluida definita dal ddl Zan che è alla base di tutte queste “rivoluzioni alias” (infatti non solo nelle scuole, ma anche in certi Comuni, come a Milano, Bologna, Torino e Lecce le tessere dei trasporti pubblici ed altri documenti locali possono riportare un nome alias).
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Non ultimo: in assenza di coinvolgimento di tutte le famiglie della scuola sarebbe violato il patto di corresponsabilità. Andrebbe perciò chiesto il consenso informato almeno a tutta la classe di appartenenza dello studente. È, infatti, da evitare il rischio che l’Istituto possa legittimare nella percezione della platea studentesca l’idea che ciascuno possa “scegliersi il sesso” che più gli piace, prescindendo da eventuali e reali situazioni di disagio psico-affettivo.
Per lo stesso motivo la scuola potrà rifiutarsi di utilizzare variazioni della lingua italiana come l’asterisco e la “e” capovolta, finalizzati a rendere il linguaggio aspecifico rispetto al genere. Nella stessa direzione si è già pronunciata anche l’Accademia della Crusca (che - peraltro - si dimostra politicamente molto corretta circa il gender, i trans ecc.): «Non dobbiamo cercare o pretendere di forzare la lingua – almeno nei suoi usi istituzionali, quelli propri dello standard che si insegna e si apprende a scuola – al servizio di un’ideologia, per quanto buona questa ci possa apparire. L’italiano ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, ma non il neutro, così come, nella categoria grammaticale del numero, distingue il singolare dal plurale, ma non ha il duale, presente in altre lingue, tra cui il greco antico. Dobbiamo serenamente prenderne atto, consci del fatto che sesso biologico e identità di genere sono cose diverse dal genere grammaticale».
Disforia di genere, non congruenza/incongruenza di genere e non conformità di genere: criticità e questioni organizzative.
Sebbene possano avere aspetti e manifestazioni simili, a detta degli stessi teorici del gender, la disforia di genere, la non congruenza di genere e la non conformità di genere sono fenomeni distinti con importanti differenze psicologiche.
Vista la rilevanza e le conseguenze che comporta, la carriera alias dovrebbe essere considerata esclusivamente per le persone con una diagnosi di disforia di genere e non per tutte le altre persone con non congruenza o non conformità di genere.
Sarebbe necessario fornire una adeguata documentazione medica che attesti la diagnosi di disforia di genere e che spieghi come la carriera alias si inserirebbe nel percorso terapeutico, evidenziandone vantaggi e possibili rischi. La documentazione richiesta dovrebbe essere valutata da una commissione interna preparata e da specialisti esterni nominati dalla scuola. Ad essa si deve accompagnare la presentazione di domanda per la riattribuzione legale del sesso, l’inizio della terapia ormonale, oppure l’inizio dell’anno di vita “reale” nei panni del sesso opposto.
Ci sono poi una serie di decisioni accessorie relative alla carriera alias in ordine agli aspetti istituzionali, organizzativi, educativi della scuola - ad esempio, le scelte relative all’utilizzo dei bagni (o altre iniziative didattiche nella scuola/ classe) che devono essere approvate da parte degli organi collegiali della scuola e che prevedono formalmente l’espressione del libero consenso o dissenso da parte dei genitori.
Invitiamo quindi i genitori e gli insegnanti che si trovassero in una scuola in cui si pretende di introdurre la carriera alias senza se e senza ma ad inviare un reclamo al dirigente, al Direttore scolastico regionale e al Ministro chiedendo se sono legittime le procedure seguite nella fattispecie concreta. Se serve aiuto nello stilare la lettera scrivete a [email protected]. Ricordino comunque che con fermezza e gentilezza nel mondo della scuola si può ottenere molto e magari si scopre di avere molti più alleati di quanto sembrerebbe, perché tanti dirigenti, insegnanti e genitori non osano esporsi per il timore di essere soli.
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Ma soprattutto è importante fare un lavoro preventivo, anche se costa sacrificio: partecipare alle riunioni, farsi eleggere negli organi collegiali (Consigli di Classe, di Circolo e di Istituto), fare rete, impiegare del tempo per parlare, conoscere e intessere buoni rapporti con genitori e docenti. In questo modo, quando fosse presentato qualche progetto “strano”, si avrà già qualche alleato su cui poter contare. Bisogna ricordare, inoltre, che i presidi non hanno mai piacere di mettersi contro i genitori e che Pro Vita & Famiglia è sempre a disposizione: [email protected]
a cura di Francesca Romana Poleggi e Maria Rachele Ruiu
Approfondimento già pubblicato su Rivista Notizie Pro Vita & Famiglia n. 110 di settembre 2022