Si è tutti innocenti fino al terzo grado di giudizio. Lo stabilisce la Costituzione italiana ed è certamente un fondamentale principio di civiltà giuridica. Questo però non impedisce di segnalare come, da martedì 23 giugno, gli inquietanti sospetti sul sistema Bibbiano – da mesi perso nelle nebbie della cronaca, come se fosse stato solo un caso mediatico montato ad arte – si siano rafforzati. È infatti arrivata la notizia che la Procura di Reggio Emilia, per iniziativa del sostituto Valentina Salvi, ha rinviato a giudizio un bel po’ di persone legate a quella vicenda.
Nello specifico, parliamo di 24 rinvii a giudizio per oltre 100 capi di imputazione. I reati contestati a seguito della conclusione delle indagini sono molti e molto gravi: peculato, abuso d’ufficio, violenza e minaccia a pubblico ufficiale, falsa perizia, frode processuale, depistaggio, rivelazioni di segreto in procedimento penale, falso ideologico, maltrattamenti in famiglia, violenza privata, lesioni dolose gravissime, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Siamo insomma lontanissimi dalla narrazione secondo cui quello di Bibbiano era solo un caso di «abuso d’ufficio».
Tra i rinviati a giudizio, secondo quanto riportato dagli organi di stampa, vi sono Federica Anghinolfi, ex responsabile dei servizi sociali dell'Unione Val d'Enza, la psicoterapeuta Nadia Bolognini e il marito Claudio Foti della onlus Hansel & Gretel. Rinviato a giudizio è anche il sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti, al quale vengono contestati gli stessi reati per i quali il 27 giugno 2019 era finito agli arresti domiciliari: l’abuso d’ufficio aggravato e il falso ideologico. Per il citato Foti, invece, è spuntata una nuova accusa: lesioni personali gravissime ad una piccola paziente. Motivo per cui - anche se si è tutti innocenti fino al terzo grado di giudizio – le ombre sul sistema Bibbiano, adesso, sono molto più concrete.
A questo proposito, è difficile non ricordare quanto sul Fatto Quotidiano – testata non sospettabile di simpatie cattoliche – riportava mesi addietro l’opinionista Selvaggia Lucarelli, anch’essa certo non di orientamento conservatore, rispetto a chi voleva insabbiare i fatti di Bibbiano, scrivendo che ci si trova dinnanzi ad un fenomeno reale, ad «una verità complessa di cui ormai si parla poco, male, a singhiozzo». Parole che, dopo il rinvio a giudizio di cui si diceva, appaiono più che mai condivisibili dato che, complice l’emergenza sanitaria, da tempo sulla vicenda Bibbiano si erano effettivamente spenti i riflettori e davvero l’impressione era che potesse trattarsi solo un di un trascurabile caso di «abuso d’ufficio», o comunque riguardante poche «mele marce».
Ma i 24 rinvii a giudizio e gli oltre 100 capi d’imputazione, evidentemente, vanno in tutt’altra direzione. Il che porta ad augurarsi che, nonostante i tempi della giustizia italiana siano proverbialmente lunghi (l’udienza preliminare avrà luogo il 30 ottobre prossimo), sul caso possa essere fatta reale e definitiva chiarezza, e ciò possa avvenire al più presto. Non stiamo infatti parlando – come i numeri ricordati dimostrano – di una faccenda di piccole dimensioni né di qualcosa di marginale, bensì di minori e di nuclei di origine, di madri e padri e figli, e quindi di famiglie, di «cellule fondamentali della società» che, come tali, vanno aiutate e sostenute, oltre che naturalmente rispettate.
Sopratutto, è il caso di ripeterlo, perché di mezzo ci sono dei minori, ovvero i protagonisti più indifesi e vulnerabili della nostra società; coloro ai quali – tanto più se la situazione familiare in cui si trovano è critica – va il massimo dell’aiuto e del supporto. Considerazioni ovvie? Certo che sì. Ma se la vicenda di Bibbiano anziché spegnersi resta purtroppo attuale è a dimostrazione che queste ovvietà, forse, non sono condivise da tutti. Ed è quindi il caso di continuare, ciascuno per quel che può, a lavorare in favore di una cultura della vita e della famiglia.