I sostenitori del “diritto all’aborto”, spesso negano che il bimbo ucciso sia una persona umana, sempre sostengono che l’aborto tuteli la salute delle donne. Peccato che numerosi studi scientifici dimostrino ben altro.
Il bambino in grembo non è l’unica vittima dell’aborto: la madre è fortemente esposta alla conseguente, spesso drammatica, sindrome post-abortiva.
A confronto, la depressione post partum è un’inezia: questa, infatti, si può risolvere nel giro di pochi mesi, mentre la sindrome post-aborto può covare nella donna per anni prima di esplodere in tutta la sua violenza, scatenando i suoi effetti deleteri. Forti sensi di colpa, risentimento e sentimenti di ostilità e odio nei confronti di coloro che hanno contribuito a farle scegliere l’aborto; ansia, angoscia, tristezza, senso di vuoto; forme di autopunizione, ricorso all’alcool o a droghe e autolesionismo; disordini alimentari; drastica perdita di autostima. Ma una delle conseguenze più terribili scatenate da questo atto è l’istinto suicida. Questi effetti si manifestano soprattutto in determinate ricorrenze, come l’anniversario dell’aborto o della data presunta del parto.
Ne fa un’ottima analisi il libro “50 Domande e Risposte sul Post-Aborto” della dott.ssa Cinzia Baccaglini, psicologa e psicoterapeuta con specializzazione sistemico-relazionale, tra le massime esperte in Italia sulle conseguenze psichiche dell’aborto.
Ben pochi sembrano preoccuparsi degli effetti che l’aborto produce nella donna. Sicuramente, sottolinea la dott.ssa Baccaglini, non sono gli stessi per tutte, poiché le reazioni variano da soggetto a soggetto. Tuttavia il problema esiste ed è serio.
Infatti, è vero che non sempre le conseguenze di un aborto sono immediate, ma è altrettanto certo che i disturbi psichici, più o meno pronunciati, prima o poi si presentano, anche dopo anni e anni.
L’aborto è purtroppo una ferita indelebile, che la donna porta con sé per sempre. «Non si cancella un dolore così – afferma la dott.ssa Baccaglini – Si può però arrivare a far sì che questa sia una ferita accompagnatoria. Un’assenza presente nel cuore, nella mente e nell’anima e non una presenza-assenza persecutoria. A tratti anche il senso di colpa riemergerà e a quel punto bisognerà trasformarlo ogni volta in senso di responsabilità e di vita per se stessi e i propri cari».
La situazione si complica ulteriormente quando l’aborto è chimico, ad esempio tramite la pillola Ru486: vivere il processo abortivo in solitudine, a casa, con nausea, vomito, diarrea, emorragie, vedendo e riconoscendo il bambino espulso, fa aumentare i sensi di colpa, fa aumentare i rischi di depressione e suicidio.
Mika Gissler, dell’Istituto nazionale per la salute e il benessere finlandese, è l’autore principale di uno studio del 1997, che ha rilevato che il tasso di suicidi tra le donne che hanno abortito è tre volte superiore rispetto alle donne che non hanno abortito, e sei volte superiore rispetto alle donne che hanno partorito. Tali dati sono confermati da ricerche condotte negli Stati Uniti e in Danimarca.
In Australia, il rapporto dell’ente governativo per la cura materna e perinatale del 2013, ha rilevato che il suicidio è la principale causa di morte nelle donne dopo l’interruzione della gravidanza.
Infine, uno studio del 2011, pubblicato sul British Journal of Psychiatry ha rilevato che il 10% dei problemi di salute mentale tra le donne, tra cui il 35% dei comportamenti suicidari, è attribuibile all’aborto. Questi risultati sono stati tratti dalla ricerca incrociata su tutti gli studi pubblicati tra il 1995 e il 2009, su un campione di 877.181 donne provenienti da sei paesi: le donne che hanno abortito hanno l’81% di probabilità in più di avere problemi di salute mentale rispetto alle donne che non hanno abortito, e il 55% di probabilità in più rispetto alle donne che hanno partorito dopo una gravidanza non programmata o indesiderata.
Inoltre, uno studio pubblicato nel 2013 dal prof. David Fergusson, che si definisce ateo e pro-choice, che combina i risultati di otto studi condotti su donne che hanno vissuto gravidanze indesiderate, ha concluso che «non ci sono prove che dimostrano che l’aborto ha effetti terapeutici e riduce i rischi per la salute mentale di donne che devono affrontare gravidanze indesiderate».
Ma le statistiche non esprimono l’angoscia di singole donne. Su National Right to Life News leggiamo quattro testimonianze davvero significative.
Nelly R., 16 anni, è stata spinta ad abortire dal suo ragazzo. «Quando hanno cominciato la procedura ho chiesto a un’infermiera quale fosse il sesso del bambino: volevo dirgli che lo amavo e che non avevo altra scelta...poi non ricordo più niente. Mi sono svegliata piangendo e urlando con tutta la forza dei miei polmoni, perché non era stato un brutto sogno. Sono caduta in depressione e ho tentato il suicidio. Non me ne importava più niente né di me né degli altri. Ero un’assassina. Ero anche andata alla polizia per denunciarmi, sperando che mi punissero».
Un’altra donna, già madre di una bambina e in crisi col marito, ha abortito due gemelli. «Dopo l’aborto sono diventata uno straccio. Ho avuto un esaurimento nervoso. Ho perso la voglia di vivere e ho cercato il suicidio: volevo stare con i miei bambini. Li potevo sentire che mi chiamavano di notte e cercavano di raggiungermi, ma io non potevo toccarli... li vedevo spegnere le candeline, scartare i regali. Giovani donne, pensateci prima, salvate voi stesse da questo terribile incubo».
Un’altra donna ancora soffre per un aborto avuto nel 1977, a 16 anni: «Ho cominciato a bere, poi a drogarmi. Sono andata in depressione e ho cercato di uccidermi. Ancora oggi soffro di terribili incubi notturni: vedo bambini e persone che vogliono uccidermi. Ancora oggi cado in depressione e piango molto. Prego ancora Dio che faccia sapere al mio bambino che non lo odiavo e che desidero tenerlo tra le braccia così tanto che mi fa male. Voglio che lui lo sappia».
Un’altra, Jeanene Clark: «Ho il terrore che mi vengano sottratti i figli che ho (ne ho quasi perso uno per aborto spontaneo: certamente causato dal precedente aborto volontario). Ho cercato di sostituire due bambini vivi al bambino morto, ma non è servito. Ho passato anni a cercare di dimenticare, non considerare, ma costantemente mi torna in mente cosa farebbe quel bambino se fosse vivo. Quando, per esempio, avrebbe frequentato la prima elementare, non sopportavo la vista dei bambini di prima elementare. Sono furiosa. Sono arrabbiata con me stessa, con la clinica degli aborti, con i consulenti, i dottori (che ammazzano quotidianamente) e col Governo che scrive “In God we trust” (Noi crediamo in Dio) sulle monete e sulle banconote e poi legalizza l’uccisione brutale e premeditata delle persone più piccole, deboli, indifese e innocenti della società».
Di testimonianze come queste ce ne sono migliaia. Molte di queste donne si sono suicidate. Molte altre hanno tentato di farlo.
Queste donne non possono essere lasciate sole.
Infatti, se ricevono un’assistenza adeguata da parte di psicoterapeuti preparati, possono superare il trauma e persino riaprirsi alla vita. Meglio ancora sarebbe prevenire, invece che curare: assistere le donne che devono affrontare una gravidanza difficile e dissuaderle dall’aborto: la verità è che mentre di donne pentite dell’aborto ce ne sono tantissime, non c’è neanche una mamma pentita di aver deciso per la vita.
Laura Bencetti
Fonte: Notizie ProVita, ottobre 2015, pp. 9-10.