Il Comitato articolo 26, che si batte per il rispetto del diritto dei genitori di educare i figli, sancito dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo, ha pubblicato la lettera di una mamma di un bimbo di due anni, la quale avendo espresso in maniera civile delle riserve sulla lettura all’asilo di alcune fiabe inerenti la delicata sfera dell’educazione all’affettività e alla sessualità, è stata apostrofata come omofoba e invitata a cambiare scuola.
Il comportamento del personale scolastico si oppone al principio di continuità educativa scuola-famiglia. Alla fine dell’articolo potrete trovare le norme del regolamento degli stessi Asili Comunali romani, che sono state smaccatamente violate nel caso in questione. Esse stesse però possono essere utili a genitori che incappino in situazioni analoghe, sperando che possano servire a prevenire fatti incresciosi come quello che qui descriviamo.
Leggiamo sempre sul sito del Comitato: “A Roma, il Comune ha affidato a Scosse, una associazione che si occupa di comunicazione, i corsi per educatrici di nido/infanzia. Ebbene, noi leggiamo che negli atti conclusivi del convegno nazionale “Educare alle differenze” organizzato da Scosse nel settembre scorso si propone di introdurre nella fascia 0-6 anni “la conoscenza e condivisione del transgenderismo, dell’intersessualismo e del transessualismo finora tabù per tutto ciò che concerne il rapporto con questa fascia di età e la riflessione che la riguarda” e “attuare le linee guida dell’OMS che evidenziano la necessità di introdurre l’educazione sessuale, in relazione alle differenze di genere, secondo un approccio globale, da prima dei 4 anni”.
Anche noi, come il Comitato, siamo per il contrasto al bullismo, siamo per la lotta contro le discriminazioni, siamo per l’educazione al rispetto, ma non possiamo accettare supinamente che tutto ciò venga condotto in maniera ideologica e poco trasparente cercando di tenere fuori dai giochi i genitori, che al contrario hanno il diritto di priorità di scelte per l’educazione dei figli come sancito dall’Articolo 26 comma 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
Qui di seguito alcuni brani della lettera della mamma rimasta coinvolta nell’episodio del “Cecchina”.
“...Dato che già dall’anno scorso nell’asilo nido è stato adottato il noto testo intitolato “Piccolo uovo”, dell’autrice Francesca Pardi (Ed. “Lo Stampatello”) – racconto a fumetti che propone ai più piccoli un “viaggio per conoscere i più diversi tipi di famiglie” –, martedì 9 dicembre 2014 decido di chiedere un incontro con il funzionario educativo per capire in che modo venissero illustrati ai bimbi i contenuti di quel libretto...
Il funzionario educativo si era molto adirata con me a causa dell’invito che avevo rivolto agli altri genitori [a partecipare a un convegno sul gender in Parrocchia] e che mi avrebbe contattato per chiedere chiarimenti sul mio comportamento ritenuto non corretto.
Fui convocata in mattinata, ed io mi presentai dal funzionario. Arrivata all’asilo nido, in presenza di un’educatrice, fui trattata con inspiegabile sufficienza e mi fu chiesto cosa volessi; le risposi che era stata proprio lei a convocarmi.
A quel punto il funzionario sbottò contestandomi aspramente il fatto che alcuni genitori si fossero lamentati perché nel mio messaggio di invito all’incontro avevo precisato che il veicolare concetti inerenti il gender potesse avvenire anche attraverso racconti e fiabe utilizzati negli asili nido...; voglio sottolineare peraltro che la mia intenzione era solo quella di invitare i genitori ad una maggiore consapevolezza ed all’importanza di formarsi sul tema e di averlo fatto in maniera generica e senza fare riferimenti concreti ad un asilo specifico o al “Cecchina” in particolare.
L’educatrice presente alla discussione con il funzionario, mi passò il testo “Piccolo uovo” specificando che secondo lei non avesse, in realtà, un contenuto di natura gender, e rivolgendosi a me aggiunse che se non volevo che mio figlio frequentasse la scuola pubblica, avrei potuto «rinchiuderlo nelle scuole dei preti»; non mi è chiara la causa scatenante di affermazioni del genere, dato che il mio lecito interesse nel monitorare gli insegnamenti fatti a mio figlio non ha un movente religioso, ma piuttosto laico e razionale e reputo che questo rientri non solo nella sfera dei miei diritti, ma in quella delle mie responsabilità nei confronti di mio figlio.
...Se volevo ancora che mio figlio frequentasse quel nido, avrei dovuto accettare il modello educativo proposto.
...Nel frattempo le educatrici e lo stesso funzionario educativo hanno contattato i genitori dandomi della “bigotta”, sostenendo che fossi condizionata nel mio giudizio dalla dottrina della Chiesa cattolica, arrivando addirittura ad accusarmi di essere omofoba.
Queste accuse sono assurde e infondate, dato che non ho assolutamente nulla contro le persone con tendenze omosessuali. Il fatto è che sono stata travolta da un mare di insulti gratuiti da parte di diversi genitori.
...Il 18 dicembre, alle ore 16.00, si svolge il consiglio straordinario del Comitato di Gestione, in cui vengo sottoposta ad una sorta di “processo inquisitorio”. Era presente una rappresentanza di due membri dell’assemblea dei genitori, quattro membri del Comitato di Gestione compresa la sottoscritta, cinque educatrici e il funzionario educativo. Sono intervenuta dichiarando che non intendevo fare alcun attacco contro qualunque forma di diversità, ma che volevo semplicemente che mi si fosse riconosciuto il diritto fondamentale all’educazione di mio figlio. In particolare, ho precisato che se l’asilo nido avesse trattato qualunque argomento concernente l’affettività o la sessualità, io volevo esserne messa al corrente, data la delicatezza del tema per l’età dei bambini (2 anni) e per subordinare la partecipazione di mio figlio al mio preventivo consenso scritto.
A queste mie parole, si è scatenato un attacco feroce da parte delle educatrici e dei genitori presenti, con il consueto corollario di insulti quali «omofoba», «ottusa», «bigotta», «discriminatrice», «parte di una minoranza arretrata bisognosa di aiuto»; qualcuno è arrivato a dire che «quelli come me dovrebbero essere chiusi in un ghetto» (mi è venuto un brivido alla schiena). Hanno poi aggiunto la considerazione che la scuola è pubblica e che di questo avrei dovuto farmene una ragione.
... Un genitore mi ha persino minacciata di querelarmi per stalking, a causa del mio messaggio inviato per l’incontro di cui sopra. Mi è sembrato evidente che l’intenzione fosse di farmi perdere le staffe, ma io sono riuscita a restare assolutamente lucida: ho preferito restare in silenzio anziché rispondere ad una pioggia di insulti fuori contesto.
... oggi mio figlio non frequenta l’asilo nido, perché non sono più sicura che quello sia il luogo migliore per la sua crescita emotiva”.
La signora infine cita alcune interessantissime norme regolamentari del Comune:
– art.2 del Regolamento degli Asili Nido del Comune di Roma, che impone «un’informazione dettagliata sulle finalità del progetto educativo e sul funzionamento del servizio offerto ai genitori prima dell’ingresso dei bambini, anche attraverso incontri di gruppo, allargati al gruppo educativo».
– Il “Modello Educativo dei Nidi e delle Scuola d’Infanzia di Roma Capitale” (documento ufficiale del Comune di Roma pubblicato nel marzo 2013), che prevede che «le educatrici declinano l’azione educativa in dialogo costante con le famiglie» (punto 1.2).
– punto 2.1 del citato “Modello Educativo”, la quale afferma che «il coinvolgimento delle famiglie è centrale nel progetto educativo», richiamando espressamente il fatto che «La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, all’art.16, afferma che “la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato”», e che «in particolare, per l’infanzia, la famiglia rappresenta il luogo di protezione, un contesto relazionale stabile, attendo alla crescita del bambino». Per questo, secondo quel punto del “Modello Educativo”, «i Nidi e le Scuole dell’Infanzia di Roma Capitale, al fine di costruire una efficace rete educativa, individuano modi e spazi per collaborare con le famiglie», e partendo «dal presupposto che i genitori rappresentano una risorsa per tutta la comunità educativa», «in quanto tali, i Nidi e le Scuole dell’Infanzia si impegnano a promuovere la partecipazione dei genitori e degli altri adulti di riferimento del bambino, all’interno del servizio, così da poter “importare” il loro patrimonio culturale e personale». «Per i funzionari educativi, i coordinatori, le educatrici e le insegnanti, il coinvolgimento e la collaborazione con i genitori significano», tra l’altro, «assumere e mantenere un atteggiamento di ascolto e di accoglienza», «favorire una efficace comunicazione quotidiana, consentendo ai genitori l’accesso a tutte le informazioni riguardanti il bambino», «valorizzare le unicità proprie di ciascun bambino e della sua famiglia».
Redazione