La maternità fa evidentemente paura. Molta paura. Non si può spiegare altrimenti l’immagine indebitamente associata all’azienda Durex (si tratta infatti di un “fake“, come ha dichiarato la stessa azienda di preservativi, contattata privatamente), che da qualche tempo sta facendo il giro del web.
L’immagine (qui sotto) raffigura una donna tutta impiastricciata di colori, con due bambine avvinghiate al corpo – una delle quali attaccata al seno – e un’espressione che esplicita i suoi sentimenti di frustrazione, rabbia e chissà cosa altro. C’è anche chi afferma che la protagonista voleva dare un’immagine serena di sé, ma l’effetto non pare proprio quello desiderato.
A uno spettatore anonimo come noi – ovviamente con tutti i rischi di un’interpretazione soggettiva – pare che l’immagine trasmetta il messaggio che la maternità sia una disgrazia, una sorta di “buco nero” nel quale si sprofonda e che rende le donne schiave di piccoli mostriciattoli che monopolizzano l’esistenza. Al che ci si potrebbe domandare, richiamando e in parte integrando Chesterton, come mai le donne di oggi si sentano libere «quando servono il datore di lavoro, ma schiave quando aiutano i mariti», oppure quando metto al mondo un figlio.
Ad ogni modo, la soluzione più consona per ovviare a questo “pericolo” non appare quella proposta dall’ideatore dell’immagine fake, ossia quella di usare il mezzo anticoncezionale forse più diffuso, ossia i preservati. Chiamiamo le statistiche a supporto: i preservativi hanno una efficacia teorica del 97-98%. A questo dato va tuttavia sottratta la variabilità dell’uso, perché non tutti usano il preservativo in maniera corretta: la sua efficacia effettiva si riduce quindi a circa l’82-84%. Quando si dice che i preservativi servono per evitare un figlio, si afferma quindi la verità? No. Ma in molti non lo sanno.
Oltre all’aspetto contraccettivo, vi è poi quello delle malattie: posto che venga usato correttamente, vi è una percentuale di protezione dell’80-90%. Ma anche in questo caso, tra la teoria e la pratica... e di certo favorire la promiscuità sessuale facendo passare il messaggio che fare sesso “protetti” sia una “garanzia” rispetto alla salute, non solo è eticamente errato, bensì aumenta di molto l’incidenza di malattie sessualmente trasmissibili che, invece, non si diffonderebbero se il messaggio trasmesso fosse quello della castità e della fedeltà.
Ma veniamo ora al messaggio materno-fobico trasmesso dall’immagine. Perché tanta paura della maternità? Si potrebbe dire che è perché diventare madri implica una donazione del proprio corpo, del proprio tempo (non solo quello “libero”), dei propri soldi, delle proprie passioni... ma forse si tratta di una lettura troppo semplicistica.
Il punto nodale, a mio avviso, è che la maternità fa paura perché, in un mondo votato all’egoismo e all’edonismo, mostra il valore dell’amore incondizionato e del sacrificio. E mostra come, in questo, la donna possa realizzarsi. Non c’è progresso che tenga, non c’è avanzamento di carriera che regga il confronto, non c’è possesso che riempia tanto quanto l’emozione di sentire i calci di proprio figlio nel grembo e il poterlo abbracciare appena nato. Un’emozione che rende fragili, vulnerabili, che costa in termini non economici ma che ri-paga di ogni fatica e sofferenza. Ecco, allora a fare paura probabilmente è proprio questo: il fatto di concedersi il lusso di rimanere umani, di saper provare un amore che non ha risvolti razionali. Il che spaventa i fautori di un mondo child free, ma rimane la chiave del passato, del presente e del futuro.
Giulia Tanel