06/08/2019

Ipersessualizzazione dell’infanzia: il primo antidoto è nell’esempio dei genitori

Non è assolutamente un tabù parlare di educazione sessuale, nemmeno dalla prima infanzia. A due condizioni però: tale educazione dovrà essere in primo luogo affettiva; i primi soggetti educativi sono i genitori, chiamati a svolgere il loro compito con l’esempio, prima ancora che con le prescrizioni. Al disgregarsi delle relazioni affettive, tipico dei nostri tempi, alla profonda solitudine di tanti adolescenti e giovani, che non riescono a realizzarsi nella loro vita sentimentale, si risponde innanzitutto con l’amore vero, quello che si costruisce giorno per giorno all’interno di una famiglia, con fatica ma con la gioia nel cuore.

Pro Vita & Famiglia ha affrontato l’argomento con due giovani psicologi romani, Miriam Incurvati e Giovanni Petrichella, entrambi impegnati nel progetto Mostrami l’amore, sorto nell’ambito dell’Associazione Progetto Pioneer e curato da Marco Scicchitano, sotto la supervisione di Emiliano Lambiase. Incurvati e Petrichella sono autori del volumetto 100.000 baci. L’educazione affettiva e sessuale in famiglia (edito da Città Nuova), un prontuario a misura di genitore, ricco di illustrazioni azzeccate e di consigli discreti e mirati, per vivere al meglio l’educazione affettivo-sessuale in famiglia, in un’epoca di messaggi controversi.

Alla luce dei vostri studi, ritenete che la famiglia sia il luogo più idoneo per un’educazione affettivo-sessuale? In che modi e con che gradualità?

«In generale, come spieghiamo nel libro, il campo della sessualità infantile rimane un campo ancora poco esplorato. Ciononostante, è lecito affermare che l’educazione affettiva e sessuale ha inizio sin dalla nascita. È infatti sulla base di come ci sentiamo visti, amati, riconosciuti – tutte cose che raggiungono il grado più alto nella sessualità, sin dall’infanzia – che sviluppiamo modelli che ci guidano all’interno delle relazioni. In questo senso noi del Pioneer [www.progettopioneer.com] riteniamo impossibile delegare l’aspetto formativo sulla sessualità esclusivamente ad agenti esterni al contesto familiare. È necessario, piuttosto, dal nostro punto di vista, agire con sinergia, sviluppando intenti comuni, tra chi si occupa di educazione fuori dalla famiglia e chi lo fa da dentro. È necessario metterci al servizio, insieme, per formare sempre più adulti che siano in grado di sviluppare la propria identità all’interno di relazioni intime, soddisfacenti, anche a livello sessuale. Per quanto riguarda i tempi, il consiglio che possiamo dare è quello di essere il più possibile responsivi alle richieste del bambino stesso. Cogliere i suoi segnali. Per fare questo, è necessario essere genitori consapevoli, attenti».

Nel vostro volume trattate anche il delicato tema dell’ipersessualizzazione del bambino, fenomeno psico-sociale che può manifestarsi in varie forme. Quali sono i danni della ricezione, specie a mezzo smartphone, di contenuti “per adulti”? 

«L’ipersessualizzazione infantile si inserisce in un quadro più ampio di cambiamenti nell’identità, che riguarda tutti noi, che viviamo nell’era digitale. È innegabile, comunque, che quello dell’esposizione a contenuto pornografico in maniera pressoché illimitata, fruibile con facilità e che diventa sempre più accettato socialmente, è un rischio per i bambini di oggi. Dal nostro punto di vista, i risultati di quanto sta avvenendo li vedremo nelle prossime generazioni. Il nome del nostro progetto è comunque collegato a quanto ci chiede. È tratto, infatti, da una scena del film Lo chiamavano Jeeg Robot: “mostrami l’amore” è ciò che Enzo chiede ad Alessia dopo aver consumato un rapporto sessuale voluto, ma violento e fugace. Enzo ha conosciuto la sessualità, per lo più, tramite video porno. Forse è proprio questa la domanda che molti giovani ci fanno: “mostrateci l’amore, perché ciò che stiamo imparando dai video porno, da Google, dalla società, non ci basta. Mostrateci un amore più reale, autentico, compassionevole e rispettoso dell’altro”. La domanda è: realmente sappiamo farlo? Davvero, possiamo mostrare questo amore? Noi abbiamo sviluppato questo progetto per cercare di rispondere a questo, ma ognuno dovrebbe cercare di fare la sua parte».

Di qui al grooming, ovvero l’adescamento di minori via internet, o ad altri fenomeni inquietanti, il passo è lungo o breve?

«Sicuramente questi fattori di rischio possono portare anche a fenomeni inquietanti come quello dell’adescamento di minori. Sarebbe auspicabile, però, che, come adulti, sentissimo questa responsabilità educativa, senza necessariamente arrivare a parlare di fenomeni estremi di questo tipo. Quello che intendiamo dire, è che, indipendentemente dal cadere o meno vittime di questi fenomeni, il rischio di crescere generazioni che perdano sempre di più la capacità di vivere l’atto sessuale in forma fisica, di sviluppare relazioni autentiche e fatte di rispetto e reciprocità, è un rischio molto grande e la responsabilità che abbiamo non può essere sottovalutata».

Cosa può fare la famiglia per arginare questi pericoli?

«Ciò che possiamo fare noi, come adulti, come società, come educatori e genitori, è quella di partire prima di tutto da noi. Dobbiamo impegnarci ogni giorno nello sviluppare, prima di tutto noi, capacità relazionali, affettive, e nell’accrescere la consapevolezza circa la nostra storia infantile. È da lì, infatti, che si parte. Quello di cui parliamo, l’educazione sessuale, non è una mera trasmissione di valori e regole. È, piuttosto, qualcosa che ha a che fare con il modo in cui stiamo nella relazione: come guardiamo, come tocchiamo, come ci emozioniamo. In definitiva, come amiamo. Intanto consigliamo il nostro libro, ma l’impegno ad approfondire queste tematiche dovremmo tenerlo sempre a mente, se abbiamo realmente a cuore le nuove generazioni».

Luca Marcolivio

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