Ci sono persone che non tacciono e che resistono efficacemente alla follia dominante e dilagante. Certo sono poche quelle che riescono a farlo e in genere si tratta di soggetti potenti, famosi e ricchi a sufficienza da non dover temere le ritorsioni delle varie lobby o gruppi ideologizzati e di benpensanti. È il caso della scrittrice britannica J.K. Rowling, diventata con il tempo nemico pubblico numero uno per tutta una serie di vague manicomiali tra quelle che vanno per la maggiore sui media di massa occidentali. L’autrice di Harry Potter, ormai è stranoto, sarebbe una crudele e spietata transofoba perché più volte sui suoi canali social (14 milioni di follower soltanto su X, ex Twitter) ha preso posizione contro gli uomini trans nelle competizioni sportive, il loro accesso nei bagni delle donne, la loro mera equiparazione alle donne biologiche. Soltanto per queste banalissime ovvietà è stata accusata nientemeno che di “genocidio trans”.
L’ondata d’odio verso la scrittrice ha poi preso tutti i possibili rivoli dove lo hate speech usualmente si incanala quando viaggia in rete, replicandosi e mutando come un virus, sfondando il muro del verosimile e soprattutto del ridicolo. Tra le varie accuse piombate sul capo di Rowling c’è anche, per esempio, quella di “scrivere come un maschio” (come se ci fosse davvero un modo di scrivere maschile o femminile e, anche se fosse, come se possa essere un difetto o un pregio…). Di recente questo fuoco perenne di livore contro di lei ha avuto occasione di nuovo alimento, per la scelta della scrittrice di donare 70 mila sterline (80 mila euro circa) all’associazione femminista “For Women Scotland”. Non denaro dato così, per mera affinità ideale, ma per sostenerla in una mozione che ha presentato alla Corte Suprema del Regno Unito, finalizzata ad avere una definizione chiara e definitiva di cosa sia una donna.
Sì, siamo d’accordo: che ci si debba rivolgere ai giudici per una cosa del genere significa già essere nell’epoca profetizzata da Chesterton, ma la vicenda, per quanto scaturisca da una diatriba da camicia da forza, va seguita da vicino, perché ci sono di mezzo vere e proprie leggi. Nel 2018, infatti, una legge scozzese ha stabilito che nella rappresentanza all’interno degli enti pubblici si deve garantire un 50% di posti alle donne, includendo nella categoria anche gli uomini transgender. Dunque c’è una norma che stabilisce quote rosa che però sono anche azzurre, perché la parte azzurra sostiene di essere e si autopercepisce rosa. “For Woman Scotland” chiede un chiarimento, in questo senso: è la biologia ad avere il primato o sono le autocertificazioni del proprio genere percepito? In realtà la loro è la ripetizione di una domanda già fatta in appello, dove la loro posizione è risultata perdente: ecco perché si è arrivati al ricorso alla Corte Suprema, per il quale Rowling ha fatto una sua donazione.
In attesa dell’esito della causa, il web e tutti i media liberal e progressisti dell’anglosfera si sono scatenati nell’ormai tradizionale e quasi tedioso “tiro-alla-Rowling”, la quale risponde con l’olimpica solidità di chi resta ciò che è sempre stata: una persona intellettualmente onesta. Divenuta miliardaria, non ha mai lesinato la sua generosità verso le fasce deboli della società, lasciandosi silenziosamente strumentalizzare dalla sinistra liberal, che se n’è appropriata sfacciatamente fino ad altrettanto sfacciatamente cestinarla quando la scrittrice ha osato prendere posizione contro il licenziamento di una donna che si era esposta contro l’ideologia gender e finché non ha deriso il concetto neutrale – e assurdo - di “persone che hanno le mestruazioni”. Da quel momento la sinistra al caviale 2.0 le si è tolta dal fianco e le si è posizionata contro, con tanto di dito accusatore e tentativi di chiamarla in causa. La sua risposta, laconica e fulminante: «sarò felice di passare anni in carcere se l’alternativa è rinunciare alla libertà d’espressione ed essere forzati a negare l’importanza del sesso». Notare: “del sesso”, non “del genere”. Perché le parole sono importanti, definiscono la realtà e anche una posizione ideale. Una brava scrittrice lo sa bene.
Non ha né senso né utilità raccontare nel dettaglio il vero e proprio delirio che la scrittrice britannica scatena da anni, qualunque cosa faccia o dica. Dentro quel delirio c’è di tutto, dai millennials delusi dall’abbandono della saga di Harry Potter a veri e propri squilibrati, capaci anche di presentarsi minacciosamente davanti a casa sua, fino a critici di patinate riviste progressiste che s’improvvisano psicologi e le diagnosticano i peggiori disturbi della personalità tra quelli disponibili. Chi avesse la perversione di osservare gli abissi della mente umana e farsene catturare, non ha che da seguire i critici più feroci della Rowling: avrà di che rimanerne soddisfatto. Per chi non ha deviazioni di questo tipo, ha invece molto più senso prendere atto e raccontare la sua “forza tranquilla”, la solida paciosità con cui, dall’alto dei suoi miliardi, dei suoi milioni di follower ed estimatori, non piega di un unghia dalle sue posizioni, anzi rilancia sovente, con fare quasi divertito.
È un bene, per tutte le persone di buon senso, che ci sia una persona come lei in circolazione. Diventerà tutto nuovamente perfetto quando non sarà più necessario essere nelle sue condizioni privilegiate per poter raccontare la realtà esattamente com’è senza timore di pagarla cara.