Rodrigo Alves, il “famoso” Ken Umano, ha recentemente annunciato al Mirror di sentirsi come Barbie e di voler cambiare sesso per diventare proprio come la bambola più conosciuta del mondo. Una decisione che non ha mancato di scatenare un acceso dibattito, ma anche profonde riflessioni sull’eticità di certi interventi, come ha sottolineato anche la giornalista Enrica Perucchietti su facebook e a colloquio con Pro Vita & Famiglia.
Un commento su questa vicenda e su una decisione che ha aperto un dibattitto sulla liceità di tali pratiche
«Trovo abbastanza eloquente che fino a pochi mesi fa questa persona dichiarava di essersi pentito delle moltissime operazioni fatte per tentare di assomigliare a Ken, di non essere realmente felice e di aver avuto molti problemi con le ventidue liposuzioni fatte. Delle dichiarazioni che lasciavano intendere la sua consapevolezza di essersi circondato di persone sbagliate, che non lo amavano per quello che realmente era, ma per ciò che era diventato e per quello che volevano che lui fosse. Nel giro di pochi mesi c’è stato però questo cambio radicale di intenzioni e Alves è arrivato a voler diventare una Barbie. Dal punto di vista umano sembra chiaro che ci siano problemi con la percezione della propria identità e del proprio corpo; inoltre una grossa responsabilità è dei medici che nel corso degli anni lo hanno assistito e a cui lui si è rivolto»
A proposito appunto della medicina, la chirurgia estetica dovrebbe porsi dei limiti etici?
«Sì, assolutamente sì. Penso che ci dovrebbe essere un codice etico che imponga ai medici innanzitutto – al costo di perdere dei clienti – di distinguere quando i pazienti che si rivolgono a loro abbiano o meno delle patologie o problemi nell’accettare il proprio corpo. Prima di ricorrere a questo tipo di chirurgia, bisognerebbe che intervenissero specialisti. Ovviamente ogni persona ha la propria libertà, mai medici non possono lucrare su questa mania di perfezione del proprio corpo, come invece sembrerebbe»
Il mondo della medicina rischia delle derive etiche tanto da arrivare a consentire alle persone di cambiare il proprio corpo in qualsiasi modo? Anche nelle modalità più assurde?
«Ci siamo già per molti versi. Fermo restando che a livello di antropologia culturale le operazioni sul proprio corpo ci sono sempre state e hanno accompagnato la storia dell’umanità, ma non in questi termini. Con queste modalità mi sembra proprio che si voglia sdoganare l’idea di non accettare i propri limiti e i propri difetti, non si vuole quindi tentare di stare bene con il proprio corpo, sia dal punto di vista fisico che psicologico. Mi sembra quindi che si voglia sdoganare questo modello post-umano, artificiale e virtuale di bellezza. Si arriva anche al paradosso che queste persone alla fine sono tutte uguali, con lo stesso naso, le stesse guance, gli stessi tratti visivi e diventano dei cloni. Il caso del Ken umano è inoltre sintomatico perché si tratta di una vera e propria barbie che però ha e avrà sempre delle caratteristiche maschili di base. Inoltre tutto ciò fa pensare perché la società odierna e la medicina anziché lavorare sul piano psicologico per l’accettazione del proprio essere, del proprio corpo, presenta la chirurgia come la scorciatoia e la strada più facile per essere più giovani e più felici»