Ciò che potrebbe capitare in Italia, se venisse approvato il ddl Zan, ci viene anticipato e profetizzato dal video della testimonianza di Sveva, che sta circolando in rete, in questi giorni.
Sveva è una bambina italo-americana di 12 anni, che nelle riprese, racconta, ancora sotto shock, la sua esperienza scolastica in America (in prima media). Tanto per incominciare la sua maestra, durante l’anno senza chiedere il permesso ai genitori, né tantomeno informarli avrebbe fatto firmare a tutti i bambini della classe un foglio in cui, ciascuno, doveva da quel momento in poi, impegnarsi a “rispettare tutti anche se sono trans, Gender fluid, ecc…” - iniziativa apparentemente lodevole, ma non si capisce come mai, sia stata riportata nero su bianco e ciò ha qualcosa di inquietante.
Una sorta di impegno ufficiale che però, la scuola non ha previsto per altre categorie di alunni, forse anche più discriminati di quelli “gender fluid” e sapete perché? Come testimonia la stessa Sveva, nella sua scuola, questo del “Gender fluid” è diventato una moda, un “trend”, sottolinea lei, per cui, molti ragazzini, che spesso nemmeno sanno cosa significhi essere gay o lesbica, né spesso lo sono veramente, obbligano i compagni a farsi chiamare non col loro nome, bensì con vari pronomi, che non corrispondono al sesso biologico ma alla mentalità del “gender neutral” che scelgono apposta, quasi come un atto di prepotenza.
Tant’è che, come sottolinea sgomenta la ragazzina, nel video, quando lei non li ha chiamati con il pronome che desideravano, gliene hanno urlate dietro di ogni. Insomma, altro che non discriminazione, siamo alla dittatura del pensiero unico, con l’aggravante che viene insegnata ai ragazzini. Come conclude Sveva, nel video, con aria smarrita, lei denuncia che prima di entrare a far parte della scuola che frequenta, si sentiva una ragazzina “normale”, ma ora si senta quasi il pomo della discordia, come se fosse lei quella sbagliata. Ed è proprio a questo che certe leggi vogliono portarci, sottolineiamo noi.