"Cari lettori, care lettrici, per questa copertina, so che mi accuseranno di blasfemia, ma i santi e le Madonne sono immagini che fanno parte della mia storia, della mia gallery esistenziale. Anche grazie a loro, ho imparato a generare me stesso, senza aiuti, trattando la creatività come uno Spirito Santo".
Con questa entrée d’effetto, in cui Achille Lauro, come al solito, afferma tutto e il contrario di tutto, il cantante balzato agli onori delle cronache, proprio per le sue uscite provocatorie e blasfeme, durante il festival di Sanremo (per le quali abbiamo avviato una petizione che sta riscuotendo un enorme successo), si affretta a giustificare la discutibile copertina, sul numero più recente di Vanity Fair, che lo ritrae come una Madonna, col busto nudo, un’ evidente parrucca dai capelli lunghi, il manto azzurro sulle spalle e le solite lacrime di sangue, “sfoggiate” anche in occasione del Festival. Ma la sua “lettera aperta” sul noto settimanale femminile, è tutta un autodescriversi, autocelebrandosi. Cominciamo dalla premessa, in cui paragona la sua creatività addirittura all’azione dello Spirito Santo: ci sembra davvero, oltre che terribilmente fuori luogo e ancora una volta offensivo, anche improbabile.
La canzone che ha presentato al festival di Sanremo, infatti, non eccelle certo per originalità, né tantomeno per creatività: se si guarda al testo, si tratta della solita tiritera sui poveri giovani incompresi «senza un’anima, senza umanità, immoralità, bipolarità». Senza considerare, però, che su questa “sofferenza esistenziale”, Achille Lauro ci fa soldi a palate. Ma non contento, continua col menarsi vanto della sua arte illuminandoci così «La follia è avere il coraggio di scegliere un percorso fuori dall’ordinario. Quando mi chiedono cosa faccio per cambiare il mondo, rispondo che io rischio con la mia arte per portare messaggi e dare significato […] Io penso che nella vita bisogna essere spericolati se si vogliono davvero cambiare le cose. C’è una frase di Oliviero Toscani che mi piace moltissimo: quando fai una cosa importante, devi avere paura. Perché se non hai paura allora stai sbagliando».
Eppure, il suo messaggio così “rivoluzionario”, si colloca, più banalmente che mai, nel solco del “politicamente corretto”: il suo cavallo di battaglia è l’ormai iper sdoganata “sessualità fluida”. Si è definito, infatti “sessualmente tutto, genericamente niente”. Che poi, come afferma, ci sarebbe persino del “coraggio” nelle sue scelte, lo dubitiamo fortemente, se pensiamo che i siparietti gender fluid che ha messo in scena, durante la sua performance sanremese, non si sono certo svolti in un paese islamico, in cui non ci si sarebbe certo limitati a commenti di biasimo, ma si sarebbe passati direttamente ai “fatti”, senza andarci leggeri.
Insomma, le sue dichiarazioni, sono tutte frasi apparentemente buttate là, ma studiate ad arte per avere il plauso generale di una società che si beve la balla del gender pur di non apparire “bigotta” e “troglodita”. E quanto è conformista tutto questo?
Ma, per concludere in bellezza, è necessario citare, insieme all’entrée ad effetto, anche la chiosa “a sorpresa”. Eh sì perché il nostro Lauro De Marinis si preoccupa di spiegare come mai tutte le volte si fa un gran parlare, ogni volta che assume sembianze femminili (ma…sicuro, sicuro..?). La motivazione è questa: «La mia risposta è semplice: perché la donna è l’estremo simbolo di libertà».
E così, con questa sfacciata captatio benevolentiae, dopo essersi aggiudicato ancora una volta, la sua fetta di pubblico femminile, De Marinis si tace e, probabilmente torna a studiare, il prossimo “provocatorio” travestimento, forse ignaro che, quando i limiti si sono oltrepassati davvero tutti, la trasgressione diventa banalità e non fa più notizia. A quel punto è necessario, davvero, tirare fuori il talento, se uno ce l’ha.
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