Evviva i murales, ma non tutti. Dipende. Se infatti sulla parete il dipinto presenta un messaggio anche solo vagamente pro life, allora non va bene: è da rimuovere. Questa l’amara lezione che arriva dal liceo scientifico Barsanti e Matteucci di Viareggio, dove – secondo quanto riferito dal giornale Il Tirreno - proprio un murale, da ormai alcuni giorni, è al centro di forti polemiche. Che si sono originate proprio a partire dal suo contenuto, vale a dire il ritratto d’un bambino nel grembo materno con la scritta «Wouldn’t you miss me?» che, tradotta, suona così: «Non ti mancherei?».
Un murale tenerissimo, dunque, realizzato nel lontano 2004 in un’ala della scuola peraltro non molto frequentata ma, purtroppo, prossimo alla rimozione. Lo ha dichiarato apertamente ai media il dirigente scolastico, Andrea Menchetti, dopo che un’associazione studentesca il cui nome è tutto un programma – Giovani comunisti/e della Versilia -, ha scatenato delle proteste per quello che ritiene un messaggio non solo negativo, ma addirittura oltraggioso. «Siamo un istituto pubblico», hanno spiegato questi giovani, forse ignari del fatto che la tutela sociale della maternità - cui quel murale indirettamente, ma neppure troppo, allude - è cosa talmente laica e pubblica da essere la prima parte del nome della legge 194.
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L’aspetto che più colpisce, in questa vicenda, non è però l’assai dubbio fondamento della polemica né la non meno dubbia preparazione bioetica dei Giovani comunisti/e, gruppo che – coerentemente – porta il nome di un’ideologia che in Russia, oltre un secolo fa, fu pioniera dell’aborto di Stato, anticipando su tale versante un altro regime da cui non c’è nulla da imparare, anzi tutto da dimenticare: quello nazionalsocialista di Adolf Hitler.
No, ciò che colpisce di quanto avvenuto al liceo Barsanti e Matteucci rispetto a quella scritta così innocente e dolce - «Wouldn’t you miss me?» - è altro, e cioè quello che si diceva all’inizio, vale a dire un’arte ammessa e tollerata solamente se abortista. Il che, beninteso, non è certo una novità di Viareggio. Sono infatti anni che il mondo artistico e cinematografico – si pensi al «grata alle società in cui è possibile l’aborto» scandito da Michelle Williams ai Golden Globes 2020 – non fa ripetere, quasi all’unisono, i ritornelli pro choice.
Non meno eloquente risulta quello che si sta verificando in queste settimane negli Stati Uniti dove - dopo la diffusione illegale di una bozza di pronunciamento della Suprema Corte che affossa la sentenza del 1973 con cui si varò l’aborto legale – tutti i principali marchi e poteri economici, da Amazon ad Apple, da Citigroup a Starbucks, sono corsi a varare benefit che consentano alle loro dipendenti di riuscire, accada quel che accada, ad abortire.
Ecco che allora, nella misura in cui il murale di Viareggio viene condannato come inaccettabile, si verifica un doppio problema: da una parte quello dell’arte unidirezionale e, dall’altra, quello della creatività posta al servizio del pensiero unico, al guinzaglio della cultura dominante sostenuta a suon di milioni di dollari da potentati e multinazionali. Ma l’arte non dovrebbe essere l’esatto opposto, e cioè anticonformismo e ribellione? Nei murales non dovremmo cioè leggere esattamente quel tipo di messaggi che chi controlla i grandi media non sopporta?
Anziché accodarsi alle dichiarazioni della prima Michelle Williams che passa, i Giovani comunisti/e della Versilia – e quelli che la pensano come loro – dovrebbero allora forse rileggersi cosa dichiarava, proprio rispetto al tema della vita prenatale e della sua difesa, un intellettuale che peraltro comunista si riteneva, Pier Paolo Pasolini, il quale ebbe a dire: «Sono contrario alla legalizzazione dell’aborto perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio». Parole, queste sì, davvero fortissime al cui confronto il censurato «Wouldn’t you miss me?» è appena una carezza.