13/06/2023 di Fabrizio Cannone

La deriva “alias” del Comune di Bologna, che adotta registri e bagni neutri

Tra le più accese lotte di questo primo ventennio del XXI secolo c’è quella tra la scienza e una particolare forma di “fede”. La scienza in questione, tanto per essere chiari, è la biologia. La quale, stabilisce che l’umanità non è un insieme indifferenziato, ma una immensa famiglia, che ha il suo fulcro in due o soltanto due generi: maschile e femminile.

Appunto, uomini e donne, ovvero i sessi – parimenti umani e ugualmente degni – maschile e femminile. Tale distinzione sessuale tra i cittadini non è affatto negata, anzi è promossa, dalla Costituzione della Repubblica. La Costituzione, infatti, invita a non discriminare un cittadino sulla base del sesso (o sull’etnia, la religione, la cultura, la politica, ecc.), e quindi afferma l’esistenza stessa dei due sessi, del resto a tutti noti.

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La fede, se vogliamo chiamarla così, è l’ideologia del gender, che vorrebbe far credere con inesausto proselitismo, che si possa nascere nel corpo sbagliato o che un uomo possa essere mamma, e che il sesso biologico sia una mera opinione come la preferenza per una squadra di calcio.

Al Comune di Bologna, la fede gender sta aggredendo la scienza e la Costituzione. Infatti il Consiglio comunale, su proposta di Porpora Marcasciano - consigliera comunale e Presidente della Commissione Pari Opportunità - ha chiesto, e ottenuto, al sindaco, in quota Partito Democratico, Matteo Lepore di «istituire registri di autodeterminazione di genere all’interno dell’amministrazione comunale». E per non fare le cose a metà, di predisporre «servizi igienici senza vincolo di genere». Come a dire che i bagni pubblici in Italia, dalle scuole ai bar, dalle stazioni agli stadi, avrebbero «vincoli di genere».

La proposta - firmata dai consiglieri P. Marcasciano, D. Begaj, S. Larghetti, M. Campaniello, M. de Martino, R. Monticelli, M. Gaigher, G. Bernagozzi, A. Di Pietro, L. Bittini, G. Tarsitano, S. Negash – è stata votata e approvata con 23 voti favorevoli e 10 contrari lo scorso 29 maggio.

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Difficile riassumete tutte le ambiguità del documento, perché è tutto l’impianto che fa difetto e tende a dividere i cittadini in fazioni e gruppi elettivi: l’opposto di quella pacificazione sociale che tutti i partiti dovrebbero auspicare. Il primo presupposto è, secondo i firmatari, che «Le soggettività Trans e non binarie, come noto, costituiscono una minoranza della popolazione sovente soggetta a plurime forme di discriminazione, marginalizzazione e diniego dei fondamentali ed inalienabili diritti civili e politici». Il che è come dire che l’acqua è asciutta: una palese sciocchezza.

La Costituzione italiana del resto, contro quanto afferma ripetutamente il documento, riconosce i cittadini italiani, e non «le soggettività» individuali sulla base dei proprio vissuto, delle proprie proiezioni o dei propri orientamenti sessuali. Si osa poi scrivere che «l’identità di genere» sarebbe un diritto di «rango costituzionale». Ma queste sono (pessime) interpretazioni che sfigurano la Carta e, se messe in pratica, permettono qualunque abuso. E’ vero il contrario. Non conta il sesso, né il presunto genere, per esercitare i diritti civili e politici.

In nome di queste interpretazioni abusive, si chiede dunque l’istituzione di un, udite udite, «registro di genere per l’impiego». Quindi un registro che cancelli la scienza, non tenga conto della Carta e discrimini i bolognesi in base a costrutti ideologici deviati ed eversivi dell’ordine pubblico.

Quindi si chiede un «registro di genere per i servizi», in modo che le persone che si dichiarano (senza però poterlo dimostrare erga omnes) «trans e non binarie», possano adottare un «nome elettivo». E ciò «in ogni rapporto reciprocamente intercorrente tra la persona e la ridetta Amministrazione». Quindi ci sarebbe un cittadino di seria A, privilegiato perché si dichiara non binario, che potrà cambiare nome a piacimento, e questo ad ogni mutar di luna. E un cittadino comune e plebeo, che non potrà.

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Poi si vuole un «registro di genere per l’impiego», dei servizi igienici comunali «privi di vincolo e suddivisione di genere», dove non si capisce chi potrà entrare e chi no, e l’istituzione della «carriera alias» per i collaboratori del comune.

Insomma, lo si è capito, una pseudo religione sessuofobica si vuole impadronire della società bolognese. Un commento a tal proposito arriva da Matteo Di Benedetto, capogruppo della Lega a Bologna: «non ho potuto che votare contro la proposta della sinistra e prendere posizione in maniera chiara.  Si tratta di una pericolosa deriva gender che abbraccia in pieno la fluidità di genere. Il totale sganciamento del genere dal dato sessuato, senza neanche passare da percorsi di carattere medico e/o giuridico. La mera autopercezione assoluta che decide di ignorare integralmente la realtà e il dato biologico. È un’impostazione pericolosa con implicazioni di ogni tipo che la sinistra di Bologna ha deciso di sposare. Si tratta, tra l’altro, di una pratica che non può che portare confusione, disorganizzazione e problemi anche dal punto di vista della convivenza sociale di ogni giorno. Non paghi di tutto questo – prosegue Di Benedetto - hanno deciso di bocciare la mia proposta contro l’applicazione di misure analoghe nelle scuole di Bologna. La volontà politica, evidentemente, è quella di procedere, presto o tardi, anche nelle scuole. Ci opponiamo e ci continueremo sempre a opporre a ogni tentativo di colonizzazione ideologica, a maggior ragione quando in gioco ci sono i diritti dei più piccoli e indifesi, i bambini».

Speriamo che i cittadini si sveglino presto e difendano ciò che sono per il bene di tutti, specie dei bambini e delle future generazioni.

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