L’Ordine degli psicologi della Lombardia ha rimandato la decisione sul caso Ricci, perché deve prima decidere sull’istanza di ricusazione di due dei membri del collegio giudicante, presentata dall’avv. Pillon. La Gaystapo freme, ma deve mordere il freno.
Il dott. Giancarlo Ricci, infatti, è stato deferito all’Ordine degli psicologi per aver asserito che i bambini hanno bisogno del papà e della mamma.
Questo, anche se è vero, ai tempi della Gaystapo non si può dire. Quindi scatta la persecuzione.
La Gaystapo va in bestia se qualcuno osa dire che “Mamma e papà hanno una funzione essenziale e costitutiva nel processo di crescita”. Ha quindi ceracto di far respingere immediatamente l’istanza di ricusazione e procedere al giudizio.
Invece, con suo sommo scorno, la Gaystapo ha dovuto assistere alla ricusazione «nei confronti di due componenti del Consiglio che avevano già deciso, sulla loro pagina Facebook, come avrebbe dovuto concludersi la vicenda. Sembra che sui profili dei due psicologi, tra i paladini più convinti della cosiddetta cultura gender, siano comparse affermazioni del tipo: “Così gliela faremo pagare”. Con evidente riferimento alle retrograde posizioni dello psicoterapeuta “colpevole” di non aprirsi al nuovo verbo dell’omogenitorialità e di professare ancora le superate teorie della genitorialità tradizionale, quella in cui ci sono una mamma-donna e un papà-uomo», come scrive Avvenire.
«Siamo soddisfatti che il Consiglio dell’Ordine degli psicologi della Lombardia – ha dichiarato Pillon su Avvenire – abbia deciso di sospendere il procedimento disciplinare aperto contro il dottor Giancarlo Ricci al fine di valutare con la dovuta attenzione la nostra istanza di ricusazione. Speriamo che ciò giovi a garantire che Ricci sia giudicato da un collegio terzo e imparziale come previsto dalla nostra Costituzione. Cogliamo l’occasione per ribadire la totale liceità delle affermazioni che ha reso pubblicamente limitandosi ad esporre il suo pensiero sul tema della genitorialità e su altri aspetti di pubblico dibattito che non possono certo formare oggetto di censura disciplinare».
Redazione
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