“La politica cinese del figlio unico provoca più violenza contro le donne e le bambine di ogni altra politica sulla terra, di ogni politica ufficiale nella storia mondiale”.
Queste sono le parole appassionate di Reggie Littlejohn, un avvocato statunitense, fondatrice di Women’s Rights Without Frontiers, un’associazione internazionale che lotta contro l’aborto forzato e la schiavitù sessuale in Cina. Californiana, in gioventù ha lavorato accanto a Madre Teresa nei bassifondi di Calcutta. Littlejohn ha avuto i primi contatti con questa politica quando ha rappresentato dei rifugiati cinesi che chiedevano asilo politico negli Stati Uniti negli anni Novanta.
“Sono stati prima perseguitati per essere cristiani e poi forzatamente sterilizzati”, ha ricordato. “Questo mi ha aperto gli occhi a una realtà che non conoscevo”.
Parlando con ZENIT durante una sua recente visita a Roma, Littlejohn ha definito la politica del figlio unico letteralmente una “guerra cinese contro le donne e le bambine”. Aborti forzati tra le donne che violano la politica sono all’ordine del giorno nel Paese e sono talvolta effettuati anche fino a nove mesi di gravidanza. Possono essere così violenti – ha affermato Littlejohn – che “le donne muoiono insieme ai loro figli in procinto di nascere”.
Ma la brutalità dell’aborto forzato non è l’unica violazione dei diritti umani conseguente alla infame “politica di pianificazione familiare”. Essa porta anche al cosiddetto “genericidio”, per la tradizionale preferenza cinese per i maschi, che lascia le femmine soggette all’aborto, all’abbandono e all’infanticidio. Esso porta anche alla schiavitù sessuale poiché l’eliminazione delle femmine ha indotto un maggior traffico di donne provenienti dai Paesi vicini alla Cina, attirate da un eccesso di circa 37 milioni di maschi cinesi rispetto alle femmine.
E sebbene il collegamento non sia pienamente dimostrato, questa politica può anche essere la causa di un più elevato tasso di suicidio tra le donne in Cina (l’Organizzazione mondiale della sanità dice che il Paese ha il più alto tasso di suicidio femminile al mondo, con circa 500 donne cinesi che ogni giorno mettono fine alla propria vita). “Non credo che questo sia slegato dall’aborto forzato, dalla sterilizzazione forzata e l’infanticidio”, ha affermato Littlejohn.
Né sono solo le donne e le bambine ad esserne vittima. Secondo numerose storie trapelate dalla Cina, da individui che rischiano la morte, il Governo applica anche una serie di metodi barbari sugli altri membri della famiglia per far rispettare questa politica. “I metodi usati sono assolutamente terrificanti”, ha affermato Littlejohn. Ricordando un incidente documentato, avvenuto nel marzo di quest’anno, ha spiegato che gli agenti della pianificazione familiare sono andati a casa di un uomo per prelevare la sorella da sottoporre a sterilizzazione forzata. “Poiché non si trovava in casa, hanno iniziato a picchiare suo padre. Quando lui ha cercato di difenderlo, uno degli agenti ha preso un lungo coltello e lo ha pugnalato due volte nel cuore ed è morto. Questo è omicidio”.
Eppure, ad oggi l’omicida non è stato arrestato e nonostante i tentativi della famiglia di rendere nota la storia, i media si sono rifiutati di diffondere la notizia. “Gli agenti della pianificazione familiare sono al di sopra della legge, possono fare qualunque cosa e farla franca ugualmente”, ha affermato Littlejohn. “Stanno terrorizzando la popolazione”.
Le statistiche riguardanti la politica cinese del figlio unico sono sconcertanti. Da che è stata avviata, nel 1979, le autorità si vantano di dire che sono state prevenute 400 milioni di nascite. Il Governo dice anche che sono circa 13 milioni gli aborti che vengono effettuati ogni anno. Questo ammonta a 1.458 ogni 60 minuti o – come ha detto Littlejohn – “a un massacro di Piazza Tienanmen ogni ora”.
“Ciò che è paradossale è che la Cina ha istituito la politica del figlio unico per motivi economici”, ha spiegato Littlejohn. “Volevano ridurre il numero delle coppette di riso da riempire per risparmiare, ma ora è diventata la condanna alla morte economica della Cina”.
Littlejohn ha dato due ordini di motivi per questo. Il primo è la disparità di sesso, con 37 milioni di maschi in più, che sta trainando il traffico di esseri umani e la schiavitù sessuale tra la Cina e i Paesi limitrofi. Il secondo è che la Cina avrà presto una popolazione anziana senza giovani che la possa sostenere. Lo ha definito come uno “tsunami di anziani”, che a suo avviso colpirà il Paese intorno al 2030.
“Non hanno previdenza sociale e per quanto ne so non hanno un piano efficace su come prendersi cura di questa enorme popolazione di anziani che si sta formando”, ha affermato. Per questo motivo è preoccupata “per l’inizio della vita e per la fine della vita” e teme che se la Cina è disposta a forzare l’aborto all’inizio della vita, “cosa vorranno forzare alla fine della vita quando si troveranno di fronte lo tsunami di anziani?”. Ha poi osservato che i cinesi hanno una cultura del rispetto degli anziani, ma si chiede se l’idea di eutanasia guadagnerà terreno quando le conseguenze demografiche della politica saranno pienamente realizzate.
“Chiaramente, la politica del figlio unico non ha più alcun senso. Allora perché mantenerla?”, si è chiesta Littlejohn. “Io credo che il motivo non sia tanto perché è una forma di controllo demografico, ma perché è una forma di controllo sociale”.
Tenere duro
Le autorità cinesi hanno detto che la politica rimarrà inalterata fino alla fine del 2015, anche se ha recentemente fatto intendere di voler forse concedere una politica dei due figli. Tuttavia, secondo Littlejohn questa non sarebbe in grado prevenire gli aborti forzati, le sterilizzazioni o gli infanticidi. Né sarebbe in grado di migliorare il trend demografico della nazione. Una politica dei due figli è già in atto nelle zone rurali e tra le minoranze, nel caso in cui il primo figlio sia femmina, ma ha fatto ben poco per ridurre la diffusa pratica di abortire le femmine, in un Paese con una pesante preferenza maschile.
Nonostante le diffuse violenze e il trauma inflitti dalle autorità, i governi occidentali hanno fatto poco per ottenere un cambiamento da parte della Cina. “Sono stati molto deludenti e deboli”, ha detto Littlejohn. “Questa dovrebbe essere la questione principale degli attivisti dei diritti umani, in ragione delle dimensioni della Cina. Un essere umano ogni cinque vive sotto la terrificante morsa della politica cinese del figlio unico. E non sono solo le donne ma anche gli uomini. La gente dice: perché la donna non cerca di scappare per avere il bambino? Non può scappare, perché se la prenderebbero con il padre, il fratello, il marito”.
Secondo Littlejohn, il Segretario di Stato USA, Hillary Clinton, si è espressa “con forza” contro l’aborto forzato in Cina e la Casa Bianca l’ha invitata a riferire sulla questione ascoltandola con attenzione. Ma, a suo avviso, questa linea non si è ancora “tradotta in un’azione concreta”. Littlejohn sostiene che i governi non vogliono battere questo punto perché la Cina vanta grandi crediti finanziari.
Inoltre, sia gli Stati Uniti che le Nazioni Unite contribuiscono a finanziare quella politica attraverso l’UNFPA (United Nations Family Planning Fund), oltre all’IPPF (International Planned Parenthood Federation), e a Marie Stopes International. A suo avviso, queste organizzazioni sono “fornitori di aborto” in Cina. Inoltre, sebbene nel 2001 gli Stati Uniti abbiano ridotto i finanziamenti all’UNFPA, perché era stata scoperta la sua complicità con la politica del figlio unico, il Dipartimento di Stato li ha ristabiliti nel 2009.
Tuttavia, negli Stati Uniti sta crescendo il sostegno all’abolizione dei finanziamenti USA. In questo senso, la rappresentante Renee Ellmers ha proposto una normativa che taglierà i finanziamenti all’UNFPA, con un risparmio di 400 milioni di dollari nei prossimi 10 anni. Littlejohn ha sottolineato che il disegno di legge deve ancora essere approvato in commissione per poi passare all’Assemblea, quindi c’è ancora tempo per gli elettori per fare pressione sui loro parlamentari.
Dal punto di vista positivo, questa orribile politica ha inavvertitamente unificato non solo gli abortisti pro-choice e gli attivisti pro-vita nell’opposizione all’aborto forzato, ma ha anche ravvicinato le religioni. Littlejohn ha evidenziato che nessuno tra cristiani, ebrei, musulmani o buddisti sostiene l’aborto, il che significa che “i credenti di queste religioni che sono costretti ad abortire lo vedono come una forma di persecuzione religiosa”.
Eppure, nonostante l’estensione di questa tragedia dei diritti umani, Littlejohn ha espresso ottimismo per il futuro. “Non è possibile che questa storia vada avanti ancora per molto”, ha affermato. “O il Partito comunista cinese accorderà la fine di queste atrocità, o queste avranno fine anche senza il suo consenso”.
di Edward Pentin