04/04/2023 di Giuliano Guzzo

La manifestazione della visibilità transgender si trasforma in un pericoloso spot per la Carriera Alias

Una grande manifestazione nella nostra Capitale per la “carriera alias”, mascherata – il che non ci stupisce – da manifestazione a favore dei diritti e contro le discriminazioni alle persone transgender. È quella che si è tenuta sabato scorso a Roma, secondo quanto riportato anche dall’Ansa, che ha riferito quanto successo durante la «prima manifestazione in Italia per i diritti delle giovani persone trans». A quali «diritti delle giovani persone trans» si faccia riferimento l’ha esplicitato bene Repubblica, riportando le parole di Gioele Lavalle, presidente dell'associazione GenderX che ha promosso la manifestazione: «Noi vogliamo che la 'Carriera Alias' sia applicata in tutte le scuole italiane e che sia fatta a dovere».

«La carriera alias aiuta tantissime ragazze e ragazzi. Se non si fa si nega il diritto allo studio», ha rincarato la vicepresidente di Arcigay Daniela Lourdes Falanga. La manifestazione romana ha goduto della partecipazione di figure istituzionali. All’iniziativa, infatti, ha partecipato anche la coordinatrice dell’Ufficio speciale Diritti Lgbt+ di Roma Capitale, Marilena Grassadonia, che ha assicurato l’impegno da parte del Campidoglio nell’introduzione delle carriere alias nelle scuole e nelle università, affinché le persone trans non subiscano più alcun tipo di discriminazione. Questa è una campana sul tema, ma non è certamente l’unica. Esiste anche chi si oppone fermamente alla “carriera alias”.

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Per esempio, in Veneto, due delegati di Fratelli d'Italia, a "Istruzione" e "Famiglia e valori non negoziabili", Anita Menegatto e Andrea Barbini, hanno scritto alla dirigente scolastica dell'istituto Marco Polo di Venezia e mettendola in guardia ad un’iniziativa di assai dubbia liceità. La Preside si è a sua volta lamentata parlando di ingerenza e di «richiesta irricevibile», ma va detto che le sottolineature degli esponenti di Fdi non sono così campate per aria, anzi. Non a caso Pro Vita & Famiglia lo scorso dicembre faceva sapere di aver «lanciato la più vasta campagna legale contro l’ideologia gender in Italia, notificando circa 150 diffide ad altrettante scuole che hanno approvato la cosiddetta Carriera Alias per "alunni transgender" su pressione del movimento Lgbtqia+, intimandone l'immediato annullamento».

Tornando alla manifestazione tenutasi a Roma, ci sono alcuni aspetti che vanno assolutamente chiariti o ribaditi, per chi non li avesse già presenti. Anzitutto, c’è da dire che un conto sono le discriminazioni sulla base dell’orientamento sessuale e un altro, ben diverso, è “la carriera alias”. Le prime, infatti, sono da condannare e infatti, da tutti, sono condannate. Non solo: i crimini d’odio contro le persone Lgbt in Italia sono statisticamente stabili o in calo, se si pensa che i 107 casi – globali, riguardanti cioè non solo le scuole, non solo i giovani e neppure solo i transgender, bensì tutte le persone “non eterosessuali” - rilevati nel 2019 nel 2021 risultavano calati ad 83. La “carriera alias” però è un altro tema, completamente. Ed è un tema problematico.

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Sotto il profilo giuridico ma non solo, come suggerisce un chiaro monito sui bloccanti della pubertà recentemente diffuso dalla Società Psicoanalitica italiana. In altre parole, con questo percorso così discusso – e dalle basi giuridiche pressoché inesistenti, almeno nel nostro ordinamento -, si rischia seriamente di agevolare quell’identità fluida che può portare dei giovani all’avvio ingiustificato all’iter di riassegnazione sessuale. Fungano da monito, al riguardo, i crescenti casi di detransitioners, i “trans pentiti”, che anche un’agenzia di stampa di livello mondiale come la Reuters ha definito essere «cruciali per la scienza». Senza dimenticare, poi, un tema fondamentale: quello delle famiglie.

Forse nella manifestazione romana non lo si è rammentato, ma uno dei pericolo della “carriera alias” è quello di agevolare e favorire la transizione di genere all’insaputa dei genitori. Il fatto è talmente grave che non una testata conservatrice né pro family, bensì l’insospettabile New York Times ha laicamente denunciato tutti quei casi in cui  gli «studenti cambiano identità di genere e i genitori non lo sanno». Una cosa gravissima, dal momento che i genitori dovrebbero avere il primato educativo sulle famiglie, primato che – lo insegna la storia contemporanea – solo i totalitarismi hanno insidiato. Vogliamo forse, rassicurati dalla retorica dei “nuovi diritti”, ripercorrere simili, disastrose orme? Vale la pena pensarci bene, finché siamo in tempo.

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