11/11/2021 di Manuela Antonacci

La storia di Carol, la “detransitioner”… una lezione per tutti

«Ritratto di una detransitioner» è il titolo dell’articolo apparso sul “The Economist” che racconta la storia dolorosa di Carol, una donna californiana di 40 anni che reca ancora sul suo viso e nel timbro della sua voce le tracce del suo passato da transessuale.

Tra i segni più infelici di questo suo passato c’è la mastectomia, una perdita a cui ancora non riesce a rassegnarsi.

Eppure all’epoca dei fatti, quando la sua infelicità l’aveva portata a credere che la vita da uomo le avrebbe reso l’esistenza più facile e felice, sembrava davvero convinta della sua scelta, al punto da iniziare le cure ormonali per assumere caratteristiche maschili. La sensazione di essere finalmente riuscita a ritrovare sé stessa trasformandosi, per quanto possibile, in un uomo, si era però presto dissolta di fronte alle enormi conseguenze che le iniezioni di testosterone stavano avendo sul suo corpo, in primis la dolorosissima atrofia vaginale, gli alti livelli di colesterolo e le palpitazioni, tutto questo con continui attacchi di panico curati con gli antidepressivi. Dopodiché il cambio di rotta e la consapevolezza che la transizione non era quello di cui aveva bisogno, né tantomeno, la soluzione ai suoi problemi.

Come sottolinea lei stessa con convinzione “La disforia di genere, la sensazione di essere nata nel corpo sbagliato non facevano di me un uomo”. La sua storia non è che l’ennesima conseguenza dell’assurdo modus operandi diffuso negli Stati Uniti, riguardo i trattamenti ormonali riservati alle persone transgender, perché per ottenerli basta semplicemente autodichiararsi trans, senza alcun bisogno di una diagnosi medica.

E, infatti, i cosiddetti “detransitioner” non sono pochi, in America, ma, essendo mal visti all’interno della comunità LGBT, hanno paura di uscire allo scoperto.

Alcuni rilievi statistici condotti dalla dottoressa Lisa Littmann hanno inoltre evidenziato che, tra i destransitioner intervistati, in quasi un quarto la difficoltà ad accettare di essere gay li avrebbe portati alla transizione, invece il 38% ha fatto risalire la causa della propria disforia a traumi o abusi subiti o a problemi di natura psicologica.

Pare che negli Stati Uniti, oggi, vada per la maggiore non occuparsi di approfondire l’origine reale di tale disagio, forse per paura di essere tacciati di omofobia o forse perché, in fondo, è più comodo e più facile prescrivere una terapia medica che compiere la fatica, insieme al paziente, di dissotterrare i propri traumi e le proprie paure.

 

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