«Oggi voglio fare questo video per ringraziare la persona che mi ha messo al mondo». Con queste belle parole inizia un video di 3 minuti postato su TikTok e diventato in pochissimo tempo virale.
La protagonista una ragazza, di nome Maria Elena, nata ad Imperia nel 1997. La quale, «adottata da una famiglia meravigliosa», dichiara di aver ricevuto «tutto l’amore che un bimbo può desiderare». Da tempo però, fattasi donna, inizia ad interrogarsi sulla sua storia singolare.
E le domande che spesso si pone le riassume in 3 parole: «perché», «chi», «come».
E questo mostra bene che siamo fatti di anima e corpo, né solo anima, né solo corpo. Abbiamo anche una biologia, non solo dei sentimenti ed un cuore. Se l’adozione è un istituto apprezzabile, il quale, come insegna proprio la storia di Maria Elena, aiuta a salvare vite e a recuperare esistenze interrotte, non bisogna però negare il significato unico della genitorialità biologica. Né si può negare il rapporto naturale di ciascuno di noi con il padre e la madre che ci hanno dato sangue, vita, patrimonio genetico e identità.
Con parole toccanti la ragazza, ormai venticinquenne, si interroga su quello che avrà pensato e provato colei che ha vissuto «per nove mesi con me insieme». La gravidanza infatti è una delle più belle ed intense esperienze femminili. Se lo ricordino quegli ingannatori di professione che ormai, cavalcando la mentalità gender, dicono di non saper definire il concetto di “uomo” e quello di “donna”. Si guardino allo specchio, invece di confondere gli adolescenti.
Rivolgendosi con estremo tatto alla madre naturale, la ragazza ligure chiede pensosa se il suo viso e i suoi lineamenti possano «rispecchiarsi nei volti di qualcun altro». E se magari ha, da qualche parte, dei fratelli che ora ignora di avere. Incalzata da queste domande esistenziali, Maria Elena ha iniziato delle ricerche ed è riuscita a reperire proprio quell’infermiera che 25 anni fa ha aiutato sua madre a partorire. L’infermiera, racconta Maria Elena, «si ricorda di una bambina di 15 anni che venne in ospedale di nascosto dai genitori».
Perché era incinta e voleva salvare una vita umana dall’aborto, a cui la società la spingeva. «Perché quella era la strada più semplice, ma che lei ha sempre rifiutato». Secondo la testimonianza dell’infermiera, quella coraggiosa ragazzina di soli 15 anni tenne «nascosta la gravidanza per 9 mesi». E tutta sola si recò in ospedale per dare la vita. Quanto ci sarebbe da dire pensando all’aborto delle minorenni promosso e incoraggiato in mille modi dall’Oms, dall’Ue, dai governi di moltissimi Paesi del mondo.
Con il cuore in mano, Maria Elena si rivolge alla madre con riconoscenza: «Non so il tuo nome, non so chi tu sia, cosa tu faccia, dove tu viva». Ma la mamma resta sempre la mamma, unica e irripetibile. Come del resto il papà. L’appello della ragazza è che la coraggiosa madre si faccia viva. Però, afferma con nobile tatto, capirebbe anche il diniego, dettato da tante possibili ragioni.
Ringraziamo davvero queste due vere donne, esempio autentico di coraggio al femminile. La madre che ha dato la vita, vincendo pressioni sociali che spesso sono insopportabili. E la figlia stessa che, vivendo grazie al coraggio materno, ne dimostra altrettanto raccontando a tutti la sua storia. E volendo, se possibile, aggrapparsi alle sue radici, 25 anni dopo per dire grazie alla sua più grande benefattrice. La vita, questa storia ce lo dimostra, vince sulla morte. Non dispiaccia a qualcuno però.