In Pakistan domina la tragica realtà dell’aborto selettivo che impedisce a milioni di bambine di nascere. A parlarne è, ai microfoni di Pro Vita & Famiglia, Zarish Neno, una giovane e coraggiosa attivista Pakistana, che da anni tenta di denunciare e scardinare questa violenta e drammatica realtà.
Cosa significa nascere donna in Pakistan?
«Il Pakistan è una società patriarcale in cui gli uomini sono le figure di autorità primarie. Si percepisce l’odio da parte degli uomini verso le donne. Agli uomini vengono concessi molti vantaggi, mentre vengono fissati vincoli rigidi per i ruoli e le attività delle donne. Il mio è un Paese dove le persone benedicono e pregano che una madre incinta dia alla luce un figlio maschio e la nascita di una bambina è equiparata a un giorno di lutto. Purtroppo questa è una realtà brutale del mio paese da anni. Non è raro infatti trovare bambine appena nate gettate su un mucchio di spazzatura, molte vengono addirittura abortite. E’ un Paese dove le ragazze pregano Dio, chiedendogli di non far nascere più ragazze. Non vi nascondo che provo vergogna ad affermare tutto ciò, ma purtroppo è la realtà. Certo, ci sono anche, rari, casi di donne libere che hanno potuto intraprendere una carriera lavorativa e che hanno una vita facile, ma la stragrande maggioranza delle donne sta ancora lottando per i propri diritti fondamentali».
Spesso si sente parlare dell’aborto come “diritto” della donna o, appunto come raccontavi tu, dell’aborto selettivo. Qual è il tuo messaggio?
«Santa Madre Teresa di Calcutta diceva ‘Se una madre può uccidere il proprio stesso bambino, cosa impedisce a me di uccidere te e a te di uccidere me? Nulla’. C’è un messaggio così forte e potente nelle sue parole semplici. Una madre è la persona che protegge la vita di suo figlio anche al costo di perdere la propria, quindi se una madre è pronta ad uccidere suo figlio come possiamo pretendere che le altre persone non si uccidano a vicenda? La nostra fede nell’umanità crolla nel momento in cui una madre uccide il suo bambino nel grembo materno. Mi viene la pelle d’oca al solo pensiero che l’omicidio di un bambino nel grembo materno venga chiamato un “diritto” della donna. E’ inaccettabile definirlo diritto, se per beneficiarne si toglie il diritto alla vita di un altro essere umano indifeso. La situazione purtroppo è drammatica in paesi come il Pakistan, dove hanno luogo gli aborti selettivi per le bambine, mentre generalmente negli altri paesi un bambino viene strappato alla vita a causa della sindrome di Down o di disabilità. Mi sorgono spontanee due domande a tal proposito: che genitori siamo se pretendiamo di amare un figlio solo se perfetto? Che speranza abbiamo in questo mondo se la discriminazione inizia dal grembo materno? Quindi, se vogliamo creare un mondo in cui l’amore, la pace e la giustizia possano prevalere, dobbiamo lottare per la vita fin dal suo concepimento e fermare il crimine dell’aborto per difendere i diritti umani di tutti gli umani, prima e dopo la nascita».
In Pakistan hai aperto un centro per accogliere le bambine che hanno subìto violenza o che sono state rifiutate dal padre proprio per la “colpa” di essere nate femmine. Ci racconti questo tuo progetto e quali sono gli obiettivi per il futuro?
«Da sempre sono attiva in difesa della vita, sia nella vita reale che sui social. Però ad un certo punto ho capito che non era sufficiente dire semplicemente “sono contro l’aborto e sono pro vita!”. Ho sentito nel mio cuore che dovevo fare qualcosa di più ed è stato allora che ho ricevuto la vocazione di aprire un piccolo centro educativo per ragazze rifiutate dai loro padri o dalle loro famiglie. Il destino mi ha portato a fondare il Jeremiah Education Center nella piccola città di Faisalabad, in cui c’era molto bisogno di aiuto. Tra queste ragazze c’erano quelle che rischiavano di essere gettate nella spazzatura dopo la nascita; altre che sono state costrette a lasciare la scuola perché i loro padri non volevano spendere soldi per la loro istruzione poiché lo ritenevano un investimento inutile. Ad altre ragazze addirittura veniva negato il cibo, poiché il padre pensava in primo luogo a sfamare bene i figli maschi che risultavano più utili come risorsa per la famiglia. Se chiudo gli occhi e immagino la prima volta che ho visto queste ragazze, in me si riaccende il ricordo dei loro volti vuoti e tristi. Grazie alla mia fondazione abbiamo impedito a molti genitori di gettare le loro bambine nella spazzatura e le abbiamo nutrite, accudite e vestite. Abbiamo inoltre aiutato le ragazze a tornare a scuola e abbiamo dimostrato alla società che anche loro sono degne di essere istruite. Alla fine abbiamo anche deciso anche di accogliere i bambini maschi e di educarli. Sono convinta che non basti aiutare solo le ragazze se vogliamo cambiare questa società patriarcale, ma dobbiamo farlo offrendo la giusta formazione anche ai maschi, in modo che maturino la consapevolezza che le donne hanno gli stessi diritti degli uomini. Oltre a ciò, il nostro Centro aiuta anche le donne che stanno pensando di abortire. Le aiutiamo offrendo loro supporto morale e il sostegno materiale di cui hanno bisogno per crescere la bambina, che di solito è il motivo per cui la maggior parte delle madri scelgono di abortire».
E in futuro?
«Purtroppo per ora il futuro non è roseo. Da poco abbiamo dovuto chiudere il nostro Centro perché il luogo dove si svolgevano le attività era stato messo in vendita e non siamo riusciti a trovare un nuovo luogo sicuro. La notizia è stata uno shock per i bambini e le loro madri poiché il Centro era la loro speranza per un futuro migliore. Così, su richiesta dei bambini e delle loro madri abbiamo deciso di raccogliere fondi per acquistare un terreno ed eventualmente costruire una scuola. Abbiamo già raccolto metà dell’importo necessario al pagamento del terreno e ora stiamo raccogliendo fondi per l’altra metà. Abbiamo creato una pagina su GoFundMe. Se qualcuno vuole aiutarci può fare una donazione e aiutarci a salvare il progetto. C’è anche la possibilità di adottare a distanza una bambina o un bambino presso il nostro centro, sostenendo le sue spese scolastiche».