Il maxi manifesto di ProVita sull’aborto sta scuotendo le coscienze e per questo dà fastidio. La forza di questo bambino di 11 settimane fa male e vogliono nasconderlo. La verità fa male e a volte rende isterici. Infatti, alcune associazioni femministe e i consiglieri del PD hanno chiesto al Sindaco di Roma, Virginia Raggi di rimuovere il manifesto, affisso dal 3 aprile in via Gregorio VII, 58.
Alcuni scrivono che queste signore hanno già ottenuto il permesso per fare, domattina, un sit in di protesta pro aborto sotto il maxi manifesto che, a loro dire, sarebbe «contro il diritto di scelta delle donne sul loro corpo».
Ma di baggianate più o meno isteriche sul nostro manifesto ne sono state scritte talmente tante che bisognerebbe raccogliere in un corposo volume di barzellette.
Lasciamo la parola a Enzo Pennetta – che è anche un biologo – che risponde ad alcune di esse. Qui il pezzo integrale pubblicato sul suo blog
Un manifesto che riporta solo delle conoscenze di biologia sul bambino concepito da 11 settimane e conclude con un’ovvietà lapalissiana, ma scatena una rabbiosa reazione che porta a chiederne la rimozione.
Un test per tutti: se verrà rimosso non si potranno più dire neanche le verità scientifiche se non allineate con la dittatura del politicamente corretto.
La conclusione più immediata ed evidente è che il popolo del politicamente corretto non tollera più nemmeno che si pubblichino dei dati di biologia se questi vanno contro le loro convinzioni ideologiche.
Queste le frasi riportate sul cartellone:
- Tu eri così a 11 settimane:
- Tutti i tuoi organi erano presenti
- Il tuo cuore batteva già dalla terza settimana dopo il concepimento
- Già ti succhiavi il pollice
- E ora sei qui perché tua mamma non ti ha abortito
Si tratta di dati scientifici e un’ovvietà.
Eppure gli oscurantisti del terzo millennio si sono scatenati per silenziare questi tre dati scientifici e un’affermazione di una banalità estrema ancorché inattaccabile dal punto di vista logico come una frase del tipo “sei qui perché non sei lì” o “è giorno perché non è notte”. Ecco che, come riportato dal Corriere della Sera, un’associazione denominata “Vita di Donna Onlus” scrive alla Raggi una lettera allarmata [il testo si può leggere sul blog Critica scientifica].
Scopriamo grazie a Vita di Donna che:
- le leggi dello Stato non sono criticabili, atteggiamento questo tipico della Sharia islamica che concepisce le leggi come sacre e interpreta ogni critica come sacrilegio, ecco dunque che il diritto di critica che è l’essenza della democrazia diventa una “aggressione“.
- I toni del manifesto vengono definiti “aberranti”, e qui si arriva ad un pezzo di incredibile ignoranza, infatti un tono non può essere aberrante. leggete le definizioni di “tono” e di “aberrante” sul dizionario Treccani: non è possibile che un tono possa essere aberrante, solo il contenuto può esserlo in quanto il tono è solo una modalità della comunicazione.
- La lettera prosegue poi affermando che il manifesto offende “le donne e gli uomini”, frase in sé irrilevante in quanto immotivata, se infatti offendere significa ‘urtare’ nella protesta non viene spiegato in che modo il cartellone ‘urti’ donne e uomini, l’affermazione risulta quindi vuota di significato.
- Si torna poi sul concetto inesistente in democrazia di ‘aggressione’ ad una legge ma esistente nelle legislazioni di stampo teocratico integralista tipo la Sharia.
- La lettera prosegue poi con un’affermazione nuovamente sovvertitrice delle regole democratiche in quanto chi scrive definisce il proprio personale pensiero come quello dei “cittadini”: da quale dato si può evincere che le istanze di Vita di Donna sulla rimozione del tabellone coincidano con quelle dei cittadini? Nessuno ovviamente.
- Davvero interessante poi che gli autori della lettera definiscano ‘integralisti’ quelli del tabellone dopo aver manifestato loro tutte le caratteristiche dell’integralismo più intollerante e antidemocratico.
- La fiera delle illogicità, contraddizioni e fallacie prosegue poi con l’affermazione “un maxi manifesto contro il diritto di scelta delle donne sul loro corpo“: se c’è qualcosa che nel manifesto non viene nominato è il corpo della donna incinta ma solo quello del nascituro. Ed è questa la fallacia sulla quale si sono basate le campagne abortiste per decenni, quella di far pensare che la decisione riguardasse il unicamente il corpo della donna incinta ignorando la presenza di un altro corpo, quello del bambino richiamato all’attenzione dal manifesto in questione.
- Il carattere fondamentalista dell’atteggiamento di chi ha scritto l’appello si conferma con la definizione di “boicottaggio” usata per criminalizzare l’obiezione di coscienza che è dopo quello alla vita uno dei principali diritti in una società non totalitaria. Forse qualche domanda sul perché così tanti medici (anche non credenti!) si rifiutino di compiere quell’atto potrebbero porsela.
- Sconcertante poi che si parli di “efficacia ridotta” della 194 se si forniscono elementi scientifici a supporto di una scelta informata e consapevole. Questa opposizione alla piena informazione fa pensare che per gli autori della lettera la 194 abbia come scopo ottenere il massimo numero di aborti possibile.
- La richiesta alla Sindaca termina poi rinnovando le accuse al tabellone di essere una campagna ‘degradante ed offensiva nei confronti delle donne‘, ancora accuse ingiustificate in quanto non si capisce come possano dei dati scientifici ed un’ovvietà essere degradanti ed offensivi per qualcuno.
Ma la posizione della Onlus è condivisa da significative parti del mondo ‘radical-progressista’ come testimoniato dal tweet di Monica Cirinnà sull’argoemnto:
“Vergognoso che per le strade di Roma si permettano manifesti contro una legge dello Stato e contro il diritto di scelta delle donne #rimozionesubito”
Dalle poche righe della lettera di protesta emerge l’aggressività di un mondo ‘politicamente corretto’ permeato di dogmatismi che non esitano a scagliarsi contro delle semplici enunciazioni di dati scientifici, un modo di pensare che è l’essenza della dittatura del politicamente corretto, una dittatura che ha nei suoi sostenitori persone convinte di essere per definizione dalla parte giusta e quindi aggressivamente ostili ad altri modi di pensare.
La battaglia di ProVita è quindi oggi la battaglia di tutti i liberi pensatori, cambiando a piacere l’argomento le dinamiche restano le stesse: è libero pensiero contro dogmatismo oscurantista.
Un’ultima cosa. Voto zero alla strategia comunicativa dell’Associazione Vita di Donna: il manifesto dell’associazione ProVita poteva passare inosservato: grazie alle proteste adesso sulle home page del Corriere e di Repubblica e così l’hanno visto e ne parlano milioni di italiani. Una pubblicità insperata che vale milioni di Euro.
Enzo Pennetta