In un comunicato congiunto, sottoscritto da diverse associazioni e singoli, si rivolge un appello urgente al governo per il ripristino delle funzioni liturgiche, ancora non previste dal Dpcm del 26 aprile scorso. Tra i firmatari anche Pro Vita & Famiglia, l’Osservatorio parlamentare «Vera lex?»), il Comitato Difendiamo I Nostri Figli, il Centro Studi Livatino e l’Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici (ma l’elenco continua e sarebbe lunghissimo, QUI il comunicato stampa integrale)
Nel comunicato viene fatta una chiara disamina e denuncia di alcuni aspetti del Decreto, alla luce soprattutto di quanto affermato all’interno del comunicato stampa della Cei, che ha definito il Dpcm del 26 aprile, “arbitrario” e “ingiusto”.
Il comunicato in questione riprende queste due espressioni spiegandone accuratamente il senso: il dpcm sarebbe “illogico” in quanto non avrebbe senso vietare le Messe e permettere, invece, i funerali che altro non sono che solo un particolare tipo di funzione liturgica, cosa che già di per sé dimostrerebbe che, dunque, le Messe potrebbero essere ripristinate, seguendo gli stessi standard igienici raccomandati per i funerali. Sarebbe “illogico” anche, rispetto alla natura laica dello Stato, a cui si demanda la scelta su chi possa partecipare ai funerali, stabilendo persino un limite massimo di 15 presenze che non può rappresentare un parametro numerico unico ed assoluto per tutte le chiese italiane (dalle più piccole alle più grandi, come se le condizioni di sicurezza potessero essere le medesime in spazi tanto diversi).
Ma soprattutto, il Decreto appare “ingiusto” perché, con i suoi dettami nega “alla Chiesa la libertà di organizzazione” e il “pubblico esercizio del culto” assicurati invece dall’art. 2 del Concordato e dall’art. 7 della Costituzione e, aspetto ulteriormente grave, finge di ignorare che l’eccezionale sospensione del culto può avvenire solo “previo” consenso della CEI: non spetta, infatti, certo alla Presidenza del Consiglio, come si sottolinea nel comunicato, “concedere” una qualunque forma di “accordo” per riaprire il culto, “che, al contrario, lo Stato non può unilateralmente negare senza calpestare -discriminandola- la libertà religiosa e dunque la libertà stessa di tutti”.
Per questo, le associazioni firmatarie chiedono con forza al Governo di rivedere le proprie posizioni in merito, diversamente, sostengono, “non esiteremo a supportare le associazioni che per natura statutaria stanno potranno direttamente impugnare del DPCM 26 aprile 2020 avanti ai Tribunali della Repubblica”.