26/02/2014

Lavorare in un centro abortista? La cosa peggiore che ho fatto nella vita

L’infermiera Marianne Anderson racconta: “Il suono della pompa di suzione mi perseguita”

Marianne Anderson ha lavorato dall’inizio del 2010 al luglio 2012 presso il Centro Aborti di “Planned Parenthood” a Indianapolis, la struttura che effettua più aborti nello Stato dell’Indiana (Stati Uniti). Oggi afferma che è stata “la cosa peggiore” che ha fatto nella sua vita.
Quando ha iniziato a lavorare lì era “al limite sull’aborto”, cioè forse lo giustificava dopo aver visto nell’ospedale in cui aveva lavorato in precedenza ragazze che avevano provato a effettuare un aborto da sole, il che la spingeva a desiderare un “posto sicuro” dove realizzare questa procedura.

Nel suo nuovo posto di lavoro, però, “varie volte ci sono state difficoltà con gli aborti, e si è dovuto chiamare l’ospedale per venire a prendere la donna [in pericolo]. Una ragazza è quasi morta dissanguata. Aveva coaguli, la sua pressione arteriosa stava crollando”, ha ricordato la Anderson.

La sua drammatica esperienza la porta oggi a dire che quel centro di aborto è “un succhiasoldi, cattivo, triste, un brutto posto in cui lavorare”. La Anderson era incaricata di applicare la sedazione alle pazienti per via intravenosa.

“Ci sgridavano se non rispondevamo al telefono al terzo squillo. Ci dicevamo che saremmo stati licenziati, perché avevano bisogno di soldi”, ha confessato.

“Nella riunione settimanale del personale ci ricordavano che dovevamo dire [alle clienti] di evitare [le persone che avvertono dei pericoli dell’aborto] perché avevamo bisogno del denaro”.

La Anderson si è ammalata per ciò che ha visto nella stanza ‘POC’ del Centro. POC significa ‘Prodotto del Concepimento’.

“Versavano i prodotti del concepimento in un colino, e poi scaricavano i resti nel gabinetto”.

“Un medico parlava al bambino abortito mentre cercava tutte le parti [del suo corpo]: ‘Andiamo, braccino, so che sei lì! Ora smetti di nasconderti!’. Solo questo mi ha fatto ammalare di stomaco”, ha dichiarato l’infermiera.

“Il suono che faceva la macchina di suzione quando si accendeva ancora mi perseguita”, ha detto la Anderson.

Un giorno ha visto la pubblicità del libro “Unplanned”, scritto da Abby Johnson, ex direttrice di Planned Parenthood in Texas che ha lasciato il suo lavoro nel 2009 per diventare un’attivista pro-vita. L’infermiera ha letto il libro e ha contattato l’autrice, che l’ha indirizzata a Eileen Hartman, difensore locale pro-vita che dirige nella zona dei Grandi Laghi il Progetto Gabriel, una rete di volontari della Chiesa che aiutano le donne ad affrontare gravidanze difficili o non pianificate.

Attraverso Eileen, l’infermiera Anderson ha preso contatti con tutta la rete pro-vita. Parlava molto con Eileen, e ha saputo che varie persone avevano iniziato a pregare per lei.

L’infermiera ha iniziato ad essere un “problema” nel centro abortivo, perché “parlava troppo con le ragazze [che andavano ad abortire], chiedendo loro se erano sicure di volerlo fare”. Un giorno di luglio l’hanno licenziata, ma proprio in quel frangente “il telefono ha iniziato a suonare nella mia tasca”. Era una chiamata dal Community North Hospital di Indianapolis che le offriva un nuovo lavoro, che svolge ancora oggi. “Ora amo il mio lavoro”, ha dichiarato. “Lavoro con persone cristiane meravigliose”.

La Anderson ha raccontato la propria esperienza durante una cena del Progetto Gabriel il 6 febbraio scorso. “Per me è stato un cammino continuo. Parlare di tutto questo è doloroso, ma allo stesso tempo guarisce”.

Di recente l’infermiera ha partecipato a un ritiro dedicato alla cura spirituale di persone che lavorano nei centri abortisti. Lì è stato chiesto ai partecipanti che ogni giorno che passava scrivessero il nome di un bambino abortito, degli aborti a cui avevano partecipato. La Anderson non ricorda il numero di aborti a cui ha partecipato, ma immagina che “ci vorranno vari anni prima di arrivare a completare la lista”.

Nonostante il suo dolore, ora si dichiara felice.

Con informazioni del National Catholic Register. Articolo pubblicato in origine da Gaudium Press [Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

Fonte: Aleteia

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