Gran parte del disagio giovanile contemporaneo è dovuto all’eclissi della figura paterna. Ne è convinto Jean-Pierre Winter, psicanalista francese da decenni in prima linea nello studio delle ricadute, purtroppo disastrose, dell’assenza del padre nei ragazzi. Esperto di psicopatologia del bambino e fondatore e attuale presidente del Mouvement du coût freudien, Winter, in un’opera interamente dedicata all’argomento – L’avenir du père (Il futuro del padre), mette in luce come la figura paterna sia fondamentale e occorra quindi prendere con le molle tutti quegli studi secondo i quali anche con “due mamme” i bambini possano crescere bene.
Il motivo per cui occorre essere prudenti lo esplicita lo stesso Winter allorquando evidenzia che «questi studi non indicano mai l’età dei bambini studiati». Perché è importante l’età? Ma perché, specifica sempre lo studioso francese, «in un bambino può sembrare che tutto vada bene fino all’età di 5-6 anni, anche fino a 12-13 anni, ma improvvisamente c’è uno sconvolgimento. Perché? Perché lasciando l’infanzia alle spalle affiorano elementi della loro vita precedente che sono stati repressi, censurati o inibiti. Così, questo bambino “che stava bene” inizia a non andare più bene, anzi va peggio degli altri bambini di età simile».
In effetti, le risultanze circa gli effetti dell’assenza paterna sono chiarissime. Basti pensare che tra i fanciulli provenienti da famiglie senza padre si conta il 63% dei suicidi giovanili (US Dept. of Health & Human Services, Bureau of the Census), il 71% delle adolescenti incinte (US Dept. of Health & Human Services), l’85% dei soggetti che mostrano disordini del comportamento (Center for Disease Control), il 75% dei pazienti adolescenti presso i centri per abuso di droghe (Rainbows for all God`s Children) e l’85% della gioventù rinchiusa in prigione (Fulton Co. Georgia jail populations Texas Dept. of Corrections).
Fanno inoltre riflettere dei dati che emergono dalla cronaca nera di questi anni. Per esempio, il fatto ben sei delle sette sparatorie più letali nelle scuole statunitensi tra il 2005 e il 2015 siano state compiute da giovani cresciuti in case in cui il padre non c’era. Un caso? Evidentemente no. Dunque l’importanza del padre va riscoperta e vanno combattute le leggi sulle adozioni alle coppie composte da due donne poiché esse agiscono – avverte sempre Winter – «anche direttamente a livello simbolico» dato che nella mentalità che dette norme veicolano «tutti quelli che avrebbero potuto occupare quel luogo sono squalificati in anticipo, resi superflui e, con loro, tutti coloro che hanno occupato questo posto nel passato. In altre parole, il padre è morto prematuramente».
Di qui la necessità di una riscoperta culturale, a 360 gradi, di quel padre oggi messo pericolosamente in disparte dalla cultura dominante. Lo ha notato anche papa Francesco il quale, in un’udienza tenuta nell’Aula Paolo VI nel febbraio 2015, ebbe ad affermare:«Padre è una parola nota a tutti, una parola universale. Essa indica una relazione fondamentale la cui realtà è antica quanto la storia dell’uomo. Oggi, tuttavia, si è arrivati ad affermare che la nostra sarebbe una ‘società senza padri’. In altri termini, in particolare nella cultura occidentale, la figura del padre sarebbe simbolicamente assente, svanita, rimossa». Esattamente quello denunciato da Winter e da altri specialisti, e che deve essere contrastato. Perché non ne va tanto e “solo” di un ruolo genitoriale, bensì di un caposaldo educativo e, evidentemente, della stessa idea di famiglia.
Giuliano Guzzo