18/01/2023 di Giuliano Guzzo

Il documento choc dell’Istat, che apre al gender fluid

Noi possiamo pure, ovviamente, non occuparci dell’ideologia gender, ma possiamo stare tranquilli, si fa per dire, di una cosa: l’ideologia gender si occuperà di noi. Verrebbe da commentare ciò che propone, in una sua recente indagine, l’Istituto nazionale di statistica, l’Istat. Sì, perché in tale indagine, come peraltro segnalato da più cittadini all’attenzione di Pro Vita & Famiglia, vi sono almeno un paio di quesiti che, nella loro formulazione, sembrano strizzare l’occhio alle rivendicazioni Lgbt.

Nel primo, infatti, si indaga l’appartenenza sessuale utilizzando come paradigma l’identità percepita -  «Lei si percepisce (sente) dello stesso sesso registrato alla nascita?», è il quesito -, il che non può non suscitare un minimo di perplessità. Il secondo quesito di Istat, tuttavia, appare ancora più esplicito e allineato a linguaggio arcobaleno: «Scriva liberamente il genere a cui si sente di appartenere». Ora, non occorre essere veggenti per immaginare che – in particolare da parte della popolazione più giovane, e quindi più esposta agli slogan e talvolta all’indottrinamento dei mass media e degli influencer -  in particolare questo secondo quesito possa risultare insidioso.

Se infatti, per apparire “alla moda” o semplicemente sovrastimando un disagio che si vive, da tale indagine emergesse che, poniamo il caso, il 50% dei giovani sotto i 30 anni non si dichiarasse eterosessuale o si dichiarasse non-binary ecco che – possiamo scommetterci – i vari attivisti e giornalisti pro Lgbt faranno proprio all’istante questo dato, per rilanciare il mantra di un «Paese che cambia», della «società che arriva prima della politica» e via discorrendo, con assolute banalità di questo tipo. Non è perfino escluso che un esito come quello ipotizzato possa far risorgere dalle ceneri l’«urgenza» del ddl Zan: mai direi mai. Chissà.

Quel che è sicuro, tornando all’Istat è che formulare simili quesiti costituisce sempre un rischio ideologico. Per un motivo semplice: è già successo. Basti ricordare quando, nel marzo 2019, fece il giro del web la notizia per cui «secondo la Coop» 4 italiani su 10 «si identificano in una identità piuttosto liquida». Si trattava, allora, dell’esito di questa ricerca, chiamata Uomo o donna? Non saprei e contenente la seguente domanda: «Come definirebbe la sua identità sessuale in una scala da 1 a 10 dove 1 è esclusivamente maschile e 10 esclusivamente femminile?».

Ora, è chiaro che ponendo i quesiti in questo modo si possono solo – per le ragioni poc’anzi esposte – ottenere risultati bizzarri. Il fatto è che, se a farle è l’Ufficio Studi di Coop, di certo composto da personale volenteroso e capace per carità, è un conto, ma se a formularne di simili è l’Istat, la cui autorevolezza non è discussa da alcuno, ecco: è un altro paio di maniche. E si rischia di consegnare ai mass media e ai ultrapoliticizzati movimenti Lgbt un formidabile asso nella manica per tornare a rilanciare la loro assai discutibile agenda.

 

 

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