Il disegno di legge su “omofobia” e “transfobia” (DDL Scalfarotto et alii (1) ), mira ad estendere la legge Mancino, vigente in materia di reati di discriminazione razziale, etnica e religiosa (v. art. 3 l. 654/1975 (2) ), anche ai casi di discriminazione per ragioni di orientamento sessuale.
Alcune considerazioni varranno a cogliere la portata epocale – non è eccessivo definirla tale – di questa proposta legislativa.
1) Il delitto di opinione
A dispetto degli artifizi dialettici dei fautori di questa normativa, la precisa volontà di creare un delitto di opinione è evidente nel titolo stesso del disegno di legge: si criminalizza infatti una fobia (ovviamente non in senso clinico), un timore, un’avversione.
Numerose esternazioni della lobby gay/trans comprovano in effetti questo intento.
Merita in tal senso peculiare attenzione la sintesi di Franco Grillini, attesa l’assoluta autorevolezza di questo storico dirigente della lobby gay, nonché noto esponente del mondo politico.
Ebbene, Grillini, opponendosi a modifiche al suddetto DDL, ha riassunto con chiarezza il senso della normativa in fase di varo: “I clericali – si è sfogato – continuano a chiedere che nel disegno di legge contro l’omofobia sia inserita la ‘modica quantità di omofobia’ consentita al clero, agli psicologi di orientamento bacchettone, e agli pseudo scienziati di area“ (Corriere della sera, 7 agosto 2013).
Il dibattito etico e scientifico in materia, viene dunque bollato come espressione di omofobia, in un contesto in cui il predetto lobbista gay rafforza dialetticamente la propria contrarietà evocando i reati in materia di stupefacenti (la cd. “modica quantità”).
In quest’ottica demonizzante, il dott. Bieber fu uno pseudo-scienziato, un omofobo, e cioè un delinquente in senso sostanziale: quello psichiatra contestò infatti radicalmente i criteri non scientifici con cui la lobby gay, nel 1973, aveva ottenuto che l’omosessualità venisse espunta dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, con ciò che ne conseguì pure nella revisione dell’analogo manuale dell’OMS.
Con Bieber verrebbero poi criminalizzati medici attualmente operativi come il dott. Nicolosi, che classifica l’omosessualità fra disordini della personalità (e perciò la cura).
Poiché inoltre, a prescindere dal dibattito scientifico, il tema assume rilevanza etica, omofobi sarebbero pure l’uomo comune, il giurista, il filosofo che riprovassero, ad es., l’assimilazione dei rapporti fra amanti omo/transessuali a quelli che si instaurano in una famiglia tradizionale.
Una valutazione sulla morale sessuale, e segnatamente familiare, non compete infatti al solo clero, come suggerisce artificiosamente Grillini.
Venendo da ultimo a considerazioni di politica giudiziaria, è plausibile ipotizzare che per non suscitare allarme sociale non ogni dissenso di stampo omo/transfobico verrebbe criminalizzato; resta contestualmente vero che solo un’esegesi sostanzialmente contraria alla legge potrebbe mandar assolto l’incauto trans/omofobo, il quale rimarrebbe, in ogni caso, un criminale sotto schiaffo.
Senza infine dimenticare che l’instaurazione di un procedimento penale a seguito di una denuncia per omofobia, fra preoccupazioni ed esborsi a fini difensivi che ne conseguirebbero, costituirebbe già di per sé una forma di ricatto e di condanna anticipata contro qualunque forma di dissenso.
2) Lo scopo della lobby trans/omofila di ottenere uno status di tutela preventiva e totalizzante
Una riprova illuminante della natura ideologica e liberticida degli approvandi delitti di omo/transfobia, la si ha considerando lo status di tutela preventiva, oltreché assoluta, che la lobby di settore intende attribuirsi. Non si comprende infatti perché omosessuali e transessuali debbano godere di un titolo di tutela penale preferenziale rispetto ad altri consociati.
Dal reato di ingiurie, a quello di percosse, alle lesioni personali, all’istigazione a delinquere – e cioè a commettere un crimine che sia già contemplato come tale dall’ordinamento – a qualunque altra fattispecie criminosa, gli omo/transessuali non risultano affatto discriminati, bensì vengono pienamente tutelati dall’ordinamento, come qualunque altro soggetto.
La previsione di norme ad hoc per l’omo/trans fobia, rappresenta dunque un decisivo strumento di “educazione” sociale, con cui una minuscola – ma ossessiva ed efficacissima – corporazione mira a reprimere la stragrande maggioranza dei “diversi”, impedendo la possibilità stessa di attuare un dibattito sul tema.
Non senza un perché l’on.le Grillini chiede di sanzionare penalmente il dissenso, pur se “modico”.
Ed è per la medesima ragione che gli articoli di stampa in cui si attribuisce rilevanza abnorme all’orientamento omofilo (cfr. ad es.: “Suicida a 14 anni, l’ombra dell’omofobia. Al setaccio sms e pc”, Corriere della sera, 12 agosto 2013) suscitano pulsioni irrazionali, in un contesto mistificante che ignora la parità di tutele giuridiche accordate ad omo/transessuali ed altri consociati.
Volendo di contro rimarcare quali siano gli esiti della prospettiva di tutelare con norme di diritto penale speciale situazioni puntuali di disagio, si propone una considerazione, in via analogica, che potrebbe apparire umoristica, o provocatoria, senza invero volerlo affatto essere.
Ebbene, è singolare che nessuno abbia mai ritenuto di dover coniare il delitto di adipofobia (o altri, analoghi), indifferentemente che si tratti di adipe fisiologicamente ineliminabile, o piuttosto di adipe causato da una condotta alimentare e di vita sregolata.
E questo benché in Italia la categoria delle persone fuori peso sia immensamente più rappresentativa di quella trans ed omosessuale e benché al contempo i media siano pressoché sistematicamente in preda ad accessi adipofobici, piuttosto che omo/transfobici.
Eppure è notorio che considerazioni maligne, discriminazioni, piccole provocazioni relative al peso eccessivo e/o ad altri difetti/problemi fisici – e non solo fisici, ovviamente – sono causa o concausa di non poche angosce, e, in ultima analisi, anche di suicidi.
3) Discriminare
Per comprendere la materia in termini più strettamente tecnici, si consideri che a mente del citato art. 3 della l. 654/1975 si incrimina il compimento di atti discriminatori di stampo razziale/etnico o religioso e la propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio, suggerendo che le fattispecie siano affini. E’ di contro evidente che l’aver posto sul medesimo livello di disvalore il concetto di discriminare e quello propagandare odio, rappresenta un’inaccettabile manipolazione.
A prescindere da assonanze suggestive (crimine/discrimine) e dall’accezione negativa in cui comunemente viene impiegato il verbo “discriminare”, l’etimologia di questo termine si limita a rimandare asetticamente al concetto di “discrimen”, e cioè di differenza.
Cogliere la differenza, discriminare, appunto, non equivale di per sé ad istigare all’odio: il mero atto del cogliere il discrimen, la differenza, è proprio dell’uomo quale essere raziocinante.
Non saper discriminare, non riuscire a distinguere, è piuttosto sinonimo di inintelligenza.
Ed è per questo lapalissiano motivo che l’endiadi discriminazione/reato rappresenta uno strumento indefinitamente punitivo, suscettibile di applicazioni illimitate.
Declinandolo in maniera consequenziale, si dovrebbe estendere questo nichilistico principio, ai sensi di legge, persino alla politica, che sul discrimen fonda la propria stessa ragion d’essere .
4) Propagandare odio
Mentre la criminalizzazione del discrimen in sé e per sé è un’opzione puramente liberticida, l’istigazione all’odio è un atto che, come disvalore, si avvicina maggiormente a ciò che il retto senso comune percepisce come un reato.
Di contro è vero che in contesti frammentarii, o inquinati da preconcetti ideologici, la mera discriminazione può essere interpretata come propaganda di odio, quando non di violenza.
Ed è appunto questo ciò che vuol suggerire il legislatore, accorpando in una sola norma incriminatrice la discriminazione/distinzione e l’odio.
In effetti, questa locuzione della legge Mancino è la copia fotostatica del vago concetto di “odio” contenuto nell’art. 415 del codice penale fascista, ove si punisce l’“istigazione all’odio fra le classi sociali”, articolo che è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, in parte (C. Cost. 1974/108), in quanto viola la libertà di espressione garantita dalla Carta fondamentale (art. 21 Cost.) (4) .
Circa la legge Mancino, la giurisprudenza ha invece ritenuto che il problema del contrasto con il citato art. 21 e la relativa libertà di opinione non si ponga.
Resta di contro indubbio, trattandosi di un’evidenza logica agevolmente argomentabile e che prescinde da decisioni contingenti, che esso si pone in tutta la sua gravità.
Altro infatti è, esemplificando, applicare l’art. 414 c.p a chi istighi a commettere un reato ben definito (ad es. ingiurie, percosse, lesioni, ecc.); altro sanzionare un’indefinibile propaganda di odio.
Quando, l’esternazione di un’avversione ideale, etica, di altra natura o di una tesi scientifica rappresentano una propaganda che suscita odio?
Platone, nella sue “Leggi”, proscrive l’omosessualità, perché “contro natura” e la contrappone al rapporto procreativo “secondo natura” di uomo e donna.
Condanna dunque la deviazione dal modello sessuale tradizionale, descrivendone crudamente l’esito attraverso argomentazioni straordinariamente simili a quelle del mondo giudaico e cristiano.
Più precisamente, propone di “formulare… (una) legge relativa all’usare secondo natura delle unioni per la procreazione dei figli, astenendosi dall’unione fra maschi, ed evitando la soppressione deliberata del genere umano e evitando che il seme sia gettato su pietre e macigni…” (5).
Quel filosofo, peraltro non alieno da inclinazioni omosessuali, nonché figlio di una società non certo omofobica, discrimina apertamente gli omosessuali (il che, in prospettiva, costituirebbe delitto).
Ma oltre a ciò, propaganda pure odio?
L’idea di escludere gli omosessuali dalla polis ideale in forza di una legge, il condannarne senza perifrasi la cultura mortifera, costituiscono atti interpretabili, senza peculiari sforzi, come una propaganda di odio, se non di violenza, contro soggetti ritenuti avversi al genere umano.
Tornando all’oggi, dunque, la punibilità di una troppo generica propaganda di odio può agevolmente risolversi nella punibilità di ideali “politicamente scorretti”, pur se identici a quelli espressi da uno dei massimi rappresentanti di una società eminentemente omofila: Platone, appunto.
Si reprime infatti l’odio affiancandolo suggestivamente all’atto del cogliere il discrimen e di asserire la superiorità di un orientamento sessuale su un altro; si sanziona un odio di cui manca un concetto puntuale e condiviso – tanto più in questo momento storico di frammentazione degli ideali individuali e sociali – in nome di un “amore” imposto con la violenza del carcere per chi dissente.
Un’ultima considerazione: questa normativa allenta oltremodo le garanzie fornite dal rispetto del principio di tassatività della norma penale, attribuendo alla magistratura poteri sostanzialmente politici nel definire gli indefinibili contorni di genericissimi reati di “odio”.
Analizzando in quest’ottica la pregnanza storica delle possibili opzioni ermeneutiche in materia di odio, non si dimentichi infine che assieme a Platone, l’“odio” omofobo, nelle sue varie forme, si presenta sul palcoscenico della storia attraverso un’affollata platea di uomini illustri, che va da Giovenale a Paolo di Tarso, da Tommaso d’Aquino a Pio X...
5) La fine del modello della famiglia tradizionale, l’inizio di una nuova era
Come anticipato, l’art. 3, c. 1, lett. a) della l. n. 654/1975, dispone che si punisca con: “la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.
Il DDL Scalfarotto, prevedendo l’estensione di questa norma alle discriminazioni “motivate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere” – ed inasprendone, per giunta, le pene – perviene all’esito brevemente tratteggiato nel titolo che precede.
Sarà dunque reato argomentare la superiorità di un orientamento sessuale rispetto ad un altro.
Professare la superiorità dell’orientamento sessuale della famiglia tradizionale su quello di altri orientamenti, fondati su altri valori – si pensi ad una comunità di trans ed omosessuali dediti a variegati giochetti erotici – rappresenta infatti un atto intrinsecamente discriminatorio e cioè omo/transfobico.
Identica conclusione, se ci si limita ad argomentare la preferibilità di una relazione familiare tradizionale ad una relazione “familiare” stabile omo/transessuale.
Questi delitti di opinione istigano inoltre gli uditori alla discriminazione, li inducono cioè a tradurre nelle proprie scelte di vita il discrimen fra soluzioni ritenute corrette e soluzioni ritenute – più o meno gravemente – erronee.
In concreto, il padre di famiglia che nell’ambiente familiare, amicale, associativo, suffraga la visione tradizionale della coppia uomo/donna e condanna l’orientamento, da lui ritenuto patologico, delle comunità/famiglie omo/transessuali, propaganda la superiorità di un orientamento sessuale e per ciò stesso discrimina ed istiga a discriminare omo e transessuali.
Diffondere teorie sulla superiorità di un orientamento sessuale, è cioè una specie del più ampio genere della discriminazione sessuale e dell’istigazione a discriminare, e correttamente, pertanto, viene contemplato nella medesima lettera a) in cui si punisce la discriminazione/delitto.
Andrà poi da sé che alle coppie omo/trans si dovranno concedere in adozione dei bambini, dovendosi adeguare il diritto civile ai nuovi principi della materia.
Non farlo costituirebbe un’inaccettabile contraddizione del sistema giuridico, un perpetuare nelle leggi civili la visione omo/transfobica che il DDL Scalfarotto et alii intende silenziare una volta per tutte, rendendola delittuosa.
Chi, non potendo vantare lo scudo dell’immunità parlamentare, si opponesse argomentatamente a questa estensione, sarebbe incriminabile come trans/omofobo, in quanto propalatore delle argomentazioni omo/transfobiche che sarebbe giocoforza impiegare al fine di sostenere le ragioni della propria visione etica, scientifica, giuridica.
Persino chi intendesse promuovere un motivato referendum abrogativo della (eventuale, futura) legge Scalfarotto, si vedrebbe esposto, per le stesse ragioni di cui sopra, a denunce e condanne per omo/transfobia.
E tutto ciò per la scontata ragione che poiché questi sono delitti di opinione, una volta eternata con sanzioni penali la tesi trans/omofila, chi la dovesse mettere in discussione sarebbe un criminale.
In definitiva, è arduo negare che estendere all’omo/transfobia la legge Mancino, come previsto dal DDL in questione, costituisca un abuso inaudito ed epocale, un’imposizione ideologica e liberticida della lobby trans/omofila ai danni degli altri consociati.
Né a questa conclusione osta la tesi di chi – artificiosamente coltivando complessi di inferiorità – asserisce l’arretratezza dell’Italia, rammentando che in molti altri Paesi la legislazione trans/omofila è già stata approvata.
Appare qui giocoforza obiettare che l’atavica legge del gregge non è mai stata sinonimo né di serietà, né di intelligenza delle cose.
Note:
1. DDL approvato dalla Commissione Giustizia della Camera dei deputati il 9 luglio 2013; relatori Scalfarotto e Leone.
In considerazione del contrasto sorto su tale DDL, la proposta di legge è stata rivista. I concetti che si vanno ad esporre, per la loro portata assiologica, prescindono in ogni caso dagli sviluppi – inevitabilmente fluidi – della materia.
2. Il DL n. 122/1993, convertito nella L. n. 205/1993, più nota come legge Mancino, introduce nella l. n. 654 l’art. 3 sopra citato.
3. In un’ottica liberale, il fatto che lo Stato non abbracci uno specifico discrimen – i.e. la neutralità dello Stato – non costituisce affatto un principio assoluto, ma al contrario il presupposto perché resti libero il discrimen degli individui.
Le religioni, le ideologie, i convincimenti più variegati, sono dunque discrimina astrattamente e materialmente liberi, a condizione che non si alterino le fondamenta della convivenza sociale.
Estendere pertanto sic et simpliciter il divieto di discrimen anche ai rapporti privati, pure là dove i discrimina non si traducano nella violazione di un ordine sociale irrinunciabile (ad es. attraverso furti, ingiurie, assassinii, ecc.), equivale a negare radicalmente le identità – e cioè, ancora una volta, i discrimina – stravolgendo le basi assiologiche di uno Stato che nel momento stesso in cui si autodefinisce liberale, conculca ogni libertà.
Che infine discriminare non equivalga ad odiare, appare difficilmente controvertibile, in termini paradigmatici, ove si pensi al caso dell’imprenditore italiano che si rifiuti di assumere stranieri, così indiscutibilmente commettendo un delitto di discriminazione razziale, ma non per ciò stesso – a condizione di dare una lettura pacata ed obiettiva delle cose – incitando all’odio chicchessia.
Nel caso dell’omofobia, le tesi omofile; nel caso del divieto di discriminazione religiosa, la società priva di identità, e dunque più agevolmente manipolabile, ecc..
4. Questa norma è stata poi di fatto “abrogata” in via interpretativa dalla giurisprudenza ordinaria, al punto che i migliori commentari del codice penale non riportano sentenze di condanna, per questo reato, successive alla citata sentenza costituzionale del 23/4/1974.
5. C.f.r. “Leggi”, VIII, 836; VIII, 838. Questa tesi platonica disturba fortemente una certa sensibilità oggi diffusa, che evita l’argomento, o, non potendolo fare, compie sforzi notevoli per circoscriverla; a prescindere peraltro da ogni tentativo di deformarla ed esorcizzarla, ne resta indubbia la forte valenza omofobica.
di Franco Oletti