Il nostro collaboratore Clemente Sparaco ha deciso di condividere una lettera aperta indirizzata al Ministro della Famiglia e Disabilità, Lorenzo Fontana.
Si tratta di una lettera che va letta nella convinzione che ogni singolo aborto è un omicidio e che, uno Stato che voglia dirsi civile, non dovrebbe ammettere nella propria legislazione la possibilità di interrompere una vita sul nascere.
(Redazione)
Lettera aperta al Ministro Ministro della Famiglia e Disabilità, Lorenzo Fontana, sulla Legge 194 e la tutela sociale della maternità
Ill.mo Signor Ministro,
quando nel 1978 fu promulgata la Legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza si disse che essa avrebbe combattuto la piaga degli aborti clandestini e il losco giro d’affari che c’era dietro. Si denunciarono i rischi per la salute della donna e si affermò «il diritto ad una procreazione cosciente e responsabile».
In ottemperanza a queste premesse, la legge configurò «situazioni di ammissibilità di un atto considerato, in linea di principio, negativamente» (Eugenia Roccella, La ratio della legge 194 è quella di una tutela sociale della maternità, in l’Occidentale, 8/07/2011). Permise, quindi, l’interruzione della gravidanza nei primi 90 giorni per la donna «che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica etc.» (art. 4) e oltre i 90 giorni «quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna» (art. 6).
L’aborto non fu inteso come questione privata, considerandolo, al contrario, questione che investiva l’intero corpo sociale. Lo Stato si faceva carico della “maternità”. Mai più le donne sarebbero state lasciate sole!
Si indicò un principio fondamentale, ispiratore della Legge: la tutela sociale della maternità. Lo Stato si proclamava garante della procreazione cosciente e responsabile e del valore sociale della maternità, rivendicando come suo fine di tutelare la vita umana dal suo inizio. Pertanto, si prescrisse che «l‘interruzione volontaria della gravidanza […] non è mezzo per il controllo delle nascite» (art. 1).
Ma oggi, riconsiderando la legge 194 alla luce di 40 anni di pratica abortista, dobbiamo prendere atto che essa ha preso una direzione diversa rispetto a quelle proclamazioni di principio.
Perché oggi l’aborto è rivendicato sic et simpliciter come un diritto di libertà individuale della donna, mentre la tutela sociale della maternitàè come passata in secondo piano. Si è imposta l’idea della sovranità riproduttiva, per la quale un bambino esiste solo se la madre lo vuole. Contestualmente, l’aborto legalizzato si è trasformato in una pratica contraccettiva o di controllo delle nascite. Si è, altresì, consolidata,nper gli aborti praticati oltre i 90 giorni, una prassi eugenetica, per cui si ricorre con sempre maggiore sistematicità all’eliminazione dei feti che presentino malformazioni all’ecografia.
Ma è, se possibile, ancora più grave l’assuefazione morale che si è ingenerata.
L’aborto è entrato nella coscienza comune come un che di lecito, di serenamente tollerabile. È divenuto moralmente indifferente, cosicché la nostra società si volta ormai dall’altra parte, credendo che la tutela della vita non sia questione decisiva. Predomina un’anticultura della morte che non accetta di discutere e che alle obiezioni risponde con l’insulto.
Che ne è, dunque, oggi della questione della tutela della vita umana dal suo inizio?
Diciamo pure che resta come un punto evaso della legge.
Pertanto, ill.mo Signor Ministro, ci rivolgiamo a Lei, perché pensiamo che sia finalmente giunto il tempo che la legge sia fatta valere per tutelare (socialmente) la maternità ela vita umana dal suo inizio, com’è nel dettato della stessa legge.
Mettiamo le donne in condizione di essere libere di non abortire. Affermiamo la possibilità di autodeterminarsi anche nel caso dell’intenzione di non interrompere la gravidanza. Definiamo la donna soggetto privilegiato quando è in attesa. Pratichiamo una solidarietà che ne rompa la solitudine, in particolare, sostenendo le gestanti in difficoltà. Inneschiamo un circuito virtuoso in modo da mettere in alleanza la vita e la libertà, la procreazione responsabile e la scelta di non abortire. Vinciamo l’inclinazione antinatalista. Perché solo nella catarsi dell’amore da unitivo a donativo si realizza la possibilità di un futuro.
Con stima e fiducia autentiche…
Clemente Sparaco
Cari Lettori,
la presente Lettera aperta al Ministro della Famiglia e Disabilitànon intende derogare al principio che l’aborto volontario è sempre un omicidio, quanto piuttosto trovare un punto d’attacco, di criticità della legge. Questo non solo perché la politica è l’arte del possibile, ma anche perché occorre iniziare a smuovere l’indifferenza sordida che si è insinuata nelle coscienze.
Ora, il punto di criticità della Legge 194 sta, a mio parere, nel fatto che essa è frutto di un compromesso fra diritto della donna e tutela della vita umana.
Nel 1978 nella coscienza comune l’aborto non era ancora avvertito come un che di lecito. Le resistenze erano forti e radicate. Per questo motivo la strategia degli abortisti fu di presentare la legge come argine alla piaga dell’aborto clandestino e a quelle situazioni di pericolo per la salute della donna. Fu una sorta di cavallo di Troia per sdoganarlo. Ma nella formulazione della legge sono contenute [sulla carta, formalmente, ndR] affermazioni di principio di altissimo profilo morale: la tutela sociale della maternità, la tutela della vita dall’inizio, la procreazione responsabile. Affermazioni che servirono allora al compromesso, ma che non trovarono mai applicazione, tant’è che le donne continuarono ad essere lasciate sole, che la natalità andò sempre più declinando, che della tutela della vita non si parlò più.
Penso che sia tempo di denunciare queste criticità per combattere la piaga dell’aborto come contraccettivo, come mezzo di controllo delle nascite o, peggio ancora, come prassi eugenetica.
Quante vite si potrebbero salvare?
Forse questo non è in nostro potere prevedere, ma certamente questo è un punto d’attacco all’assuefazione morale che ormai si è insinuata nelle coscienze, anche dei cattolici.
Con l’ispirazione dello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, ce la faremo.
Clemente Sparaco