Volete i contributi regolati dai piani di cooperazione allo sviluppo? Bene, ma alle nostre condizioni. Suona più o meno così la risoluzione votata dal Parlamento europeo il 13 marzo rivolta agli Stati dell’Africa sub-sahariana. Ma le prerogative non sono quelle che ti aspetteresti –controllo della corruzione, dello sfruttamento minorile…-: per ricevere i fondi, i governi locali dovranno adottare politiche conformi alle linee guida sull’orientamento sessuale ed alla tutela di gay, lesbiche, bisessuali, transessuali. Non solo: la risoluzione richiede esplicitamente che si inserisca questa clausola per tutte le future relazioni di solidarietà internazionale. Tecnicamente una minaccia.
Nella lista nera degli ideologi del gender entrano a pieno diritto Uganda e Nigeria, Stati che hanno recentemente preso posizione contro i matrimoni gay e proibito la promozione dell’omosessualità.
Non serve essere fini politologi per riconoscere un grossolano esempio di neocolonialismo, finalizzato a distruggere le identità locali per plasmare i paesi in via di sviluppo ad immagine e somiglianza di ciò che talune forze in campo vogliono. È più facile comandare chi non ha radici, è più facile sfruttare il mercato di chi non ha confini.
Il passaggio sostanziale è però mettere tutto questo in forma scritta, farlo votare da un’assise quale il Parlamento europeo e pretendere che ciò sia perfettamente normale.
Redazione