Tiene banco uno dei primi decreti legge del nuovo governo. Il Consiglio dei Ministri ha infatti approvato l’introduzione del reato di invasione di terreni o edifici allo scopo di organizzare raduni, con oltre cinquanta persone, considerati pericolosi per l’ordine pubblico, l’incolumità pubblica o la salute pubblica. L’obiettivo dichiarato dell’esecutivo è dunque quello di offrire nuovi strumenti per contrastare i rave party illegali.
Una decisione che però ha fatto insorgere Sinistra e in generale l’opposizione, che ha gridato allo «Stato di polizia» (cit. Giuseppe Conte) e a un nuovo reato «lesivo dei principi costituzionali» (cit. Deborah Serracchiani). Dalla polemica non si è sottratto Enrico Letta. In un tweet, il segretario del Pd ha sottolineato che il rave party dei giorni scorsi avvenuto a Modena «è stato gestito bene, con le leggi vigenti». Dunque, per Letta, non serve una nuova norma, che rischia piuttosto di suonare «come limite alla libertà dei cittadini e minaccia preventiva contro il dissenso».
Eppure Letta è il segretario del partito che persegue l’approvazione del ddl Zan. “Che c’entra?”, penserà qualcuno. C’entra eccome. Perché una delle ragionevoli obiezioni alla proposta legislativa contro l’omotransfobia è proprio la medesima obiezione che oggi il numero uno dei Dem muove al primo decreto del governo Meloni. Infatti «il Codice Penale già punisce ogni atto di violenza contro qualunque persona» a prescindere dall’orientamento sessuale, ricordava giusto un anno fa a proposito del ddl Zan il portavoce di Pro Vita & Famiglia Jacopo Coghe.
Sorge allora spontanea una domanda al segretario del Pd: perché per contrastare i rave party abusivi basterebbe l’utilizzo delle leggi attuali, mentre per arginare la violenza e le offese contro alcune categorie di persone occorrerebbe una legge specifica? La stessa accusa che Letta indirizza al decreto anti-rave può quindi essere rivolta - tale e quale - al ddl Zan: si tratta di una norma che non contrasta la violenza, ma che, prevedendo di punire con la reclusione astratte azioni di omofobia o di transfobia, rischia di costituire un «limite alla libertà dei cittadini e minaccia preventiva contro il dissenso» al pensiero dominante a tinte arcobaleno.
Non solo. Il ddl Zan - come Pro Vita & Famiglia ha ripetutamente denunciato - «introdurrebbe surrettiziamente l’ideologia gender nelle scuole, attraverso l’istituzione della “Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia”». In tale occasione dovrebbero essere organizzati negli istituti incontri, cerimonie e iniziative. E chi non dovesse essere d’accordo? Chi volesse manifestare pubblicamente sostegno alla famiglia naturale e al diritto del bambino a crescere con una mamma e un papà? Si stringerebbe per costui la gogna dell’omofobia o della transfobia assurte a reati penali?
Senza voler entrare nel merito di questo decreto, che naturalmente può essere contestato, ci teniamo a invitare chi oggi si preoccupa per una presunta deriva liberticida, ad assumere prima una robusta dose di coerenza. Ce n’è bisogno.