Pubblichiamo l’intervento di grande lucidita’ e chiarezza di Alfredo Mantovano a Firenze il 19 Gennaio scorso durante l’evento contro le nozze gay organizzato da La Manif Pour Tous
Mettiamo subito da parte, rispetto a ciò che accade in Italia in questi mesi in tema di famiglia, ogni lettura che possa apparire riduttiva: il discorso non può restringersi a un sì o a un no alla legge sull’omofobia, o a un sì o a un no alla legge sulle unioni civili. Intendiamoci, si tratta di due leggi importanti, in sé e per la carica simbolica che avrebbero, se approvate. Il quadro è però più articolato: non ci sono soltanto la Camera e il Senato, e non c’è solo il Parlamento; ci sono altre realtà che stanno avendo una incisiva voce in capitolo, e c’è un contesto in senso lato culturale nel quale tutto ciò si inserisce.
Ci sono, tanto per cominciare, il Governo e la Pubblica amministrazione: ha avuta scarsissima eco, nel marzo 2013, il varo da parte del ministro del Welfare dell’epoca, prof.ssa Elsa Fornero, che aveva anche la delega alle Pari opportunità, della Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere. Ma adesso le conseguenze applicative di quel documento cominciano a sentirsi in tutte le strutture che hanno un rilievo pubblico, a cominciare dalle scuole. Ho ascoltato con attenzione l’intervento del sottosegretario del Miur on. Gabriele Toccafondi, giustamente critico nei confronti del disegno di legge Scalfarotto: vorrei però far presente che quel d.d.l. deve ancora essere approvato, mentre le direttive sull’educazione di genere nelle scuole sono già operative per iniziativa del suo Ministero! E vorrei aggiungere che, se non le si condivide, trattandosi di atti di governo, l’Esecutivo in carica ben può revocarle, in tutto o in parte, o quanto meno sospenderne l’attuazione: ci si può quanto meno provare…
Quel documento è stato inviato a tutte le Amministrazioni dello Stato, ed è stato redatto a seguito di una consultazione effettuata esclusivamente con le associazioni LGBT (che cosa accadrebbe se per interventi riguardanti in generale la scuola italiana si consultassero previamente solo le scuole non statali?): partendo dal presupposto, assai discutibile, secondo cui in Italia esisterebbero delle lacune normative su questo versante, la direttiva indica misure per perseguire gli obiettivi antidiscriminatori nella scuola; quest’ultima è chiamata ad attrezzarsi per la “corretta” conoscenza delle tematiche LGBT.
Identico lavoro va svolto nelle carceri, nei centri per immigrati, e in tutti i luoghi di aggregazione.
Dunque, la partita è più grossa rispetto alla pur importante dialettica parlamentare riguardante la legge sull’omofobia.
Un’idea di quale sia la posta in gioco la fornisce un documento, pubblicato il 13 dicembre 2013 dall’’UNAR, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, che fa capo al dipartimento delle Pari opportunità e al dipartimento dell’Integrazione, entrambe – a loro volta – articolazioni della Presidenza del Consiglio. Il documento ha per titolo Linee guida per un’informazione rispettosa delle persone LGBT: non sono consigli, sono precetti, e si collegano esplicitamente alla Carta dei doveri del giornalista, al Codice sul trattamento dei dati personali e a una direttiva europea sulle attività televisive, recepita in Italia nel 2010. E’ qualcosa di strettamente correlato alla deontologia della comunicazione e dell’informazione: dunque, la denuncia all’Ordine dei Giornalisti è dietro l’angolo. Le linee guida consistono in quelli che Massimo Introvigne ha definito “i dieci comandamenti”, redatti da un gruppo di esperti, pure in tal caso quasi tutti appartenenti a organizzazioni LGBT.
Non ho il tempo per esporli tutti – si possono leggere per esteso sul sito UNAR – ma qualche esempio merita di essere fatto. Il “primo comandamento”, dopo aver ricordato ai giornalisti che dovranno usare sempre l’acronimo LGBT, impone di non confondere il “sesso biologico”, che riguarda i cromosomi e la fisiologia degli apparati genitali, con l’identità di genere, che viene definita come “il senso intimo, profondo e soggettivo di appartenenza alle categorie sociali e culturali di uomo e di donna, ovvero ciò che permette a un individuo di dire ‘io sono un uomo, io sono una donna’, indipendentemente dal sesso anatomico di nascita”.
Come per il Decalogo vero, anche per quello delle Linee-guida ha una certa importanza il “sesto comandamento”: viene raccomandato di raccontare ai lettori un’autentica stupidaggine, e cioè che l’Italia – con la Grecia – è l’unico Stato nell’ UE che non prevede alcuna tutela per la coppie composte da persone dello stesso sesso. Non è vero! È come se la sola tutela da considerare sia la formalizzazione dell’unione civile o del matrimonio tra persone omosessuali, e non vi sia già una serie di diritti riconosciuti, per es. in materia sanitaria, di successione nella locazione... Viene anche detto, travolgendo secoli di sana antropologia, che «il matrimonio non esiste in natura, mentre in natura esiste l’omosessualità». Tutto questo già crea difficoltà per qualunque giornalista che per avventura sia d’accordo col Magistero della Chiesa, o anche solo col diritto naturale.
Ancora più complicato per il giornalista cattolico è fare i conti con l’“ottavo comandamento”, che in tema di adozioni vieta di sostenere che il bambino «ha bisogno di una figura maschile e di una femminile come condizione fondamentale per la completezza dell’equilibrio psicologico». Il giornalista che sostenga questa tesi si renderebbe responsabile della propagazione di un «luogo comune», smentito dalla «letteratura scientifica». Altrettanto vietato è parlare di «utero in affitto»: espressione qualificata «dispregiativa», che va sostituita con l’espressione «gestazione di sostegno» (!).
L’apoteosi della libertà di informazione si raggiunge col “nono comandamento”: «Quando si parla di tematiche LGBT è frequente che giornali e televisioni istituiscano un contraddittorio: se c’è chi difende i diritti delle persone LGBT si dovrà dare voce anche a chi è contrario». A me sembra il minimo del pluralismo e della democrazia, specie se parliamo di RAI e di servizio pubblico. Ma per le linee guida questo «non è affatto ovvio». «Cosa deve accadere affinché il contraddittorio fra favorevoli e contrari ai diritti delle persone gay e lesbiche non sia più necessario?» Su questi temi niente contraddittorio: parlano solo le associazioni LGBT!
Ce n’è anche per i fotografi. Il “decimo comandamento” li invita a fare attenzione a che cosa fotografano nei gay pride: devono evitare le immagini di persone «luccicanti e svestite». Obiezione: ma chi partecipa ai gay pride non fa prima a non svestirsi e a non indossare lustrini se proprio non vuol correre il rischio di essere fotografato nudo? No! per le Linee guida le foto non vanno riportate perché altrimenti le immagini mettono in secondo piano “il tema dei diritti”. Ricordo che queste “linee guida” sono state varate sotto l’egida del governo italiano, non del governo della Corea del Nord!
Problema conclusivo: come si deve regolare un giornalista che è incaricato di fare la cronaca di convegni come questo? Cioè, di convegni definiti “omofobi” dai contestatori che sono a pochi metri dalla porta di ingresso della sala nella quale ci troviamo?
Premesso che deve farlo solo per «dovere di cronaca», si precisa che deve «attenersi ad alcune regole», deve «virgolettare i discorsi» fatti nell’occasione (non sia mai che sembrino sue affermazioni!), deve contrapporre dichiarazioni di rappresentanti delle organizzazioni LGBT, che andranno tempestivamente intervistati anche se non c’entrano nulla col convegno (qui il contraddittorio ha la massima espansione!), deve usare «particolare attenzione nella titolazione». Il giornalista intelligente comprende al volo: in questo convegno ci si dice contrari al «matrimonio» omosessuale? il titolo del servizio che andrà sul tgr o, domani, sul quotidiano, non dovrà essere «a Firenze convegno per la famiglia», bensì «Fiorentini scandalizzati da interventi omofobi»!
Con tutto questo – e per concludere –, siamo grati all’UNAR e all’attuale governo per queste linee guida riguardanti i giornalisti. Rendono senza volerlo un enorme servizio. Spiegano esattamente, nero su bianco, che cosa sarà davvero vietato dalla legge contro l’omofobia. Il loro scopo non è certo quello di proteggere le persone omosessuali da insulti, minacce e violenze, come è giusto che sia, e come già affermano le leggi in vigore. Lo ha spiegato in modo mirabile il prof. Ferrando Mantovani. Questo è un saggio significativo di quel che dire “dittatura del relativismo”: è la descrizione del contenuto reale, nella prassi quotidiana, che avrà le norme sull’omofobia. È il trailer di un film dell’orrore la cui produzione dipende anche da noi e dalla capacità che avremo di reagire con intelligenza, equilibrio e coraggio.
di Alfredo Mantovano