In occasione della Giornata Nazionale per la Vita 2025, che si terrà il prossimo 2 febbraio, torna all’attenzione la proposta di legge di iniziativa popolare “Un Cuore che batte”, che mira a integrare l’art. 14 della legge 194 del 22 maggio 1978. L’iniziativa, sostenuta da Pro Vita & Famiglia e dall’Associazione Ora et Labora in Difesa della Vita e da altre cinquanta associazioni, chiede l’obbligo per il medico, durante la visita che precede l’interruzione volontaria di gravidanza, di mostrare alla donna il concepito tramite esami strumentali e di farle ascoltare il battito cardiaco del nascituro.
La proposta ha raccolto oltre 106.000 firme in pochi mesi, più del doppio del quorum necessario, dimostrando che il dibattito sull’aborto è tutt’altro che sopito. Promossa da associazioni accomunate dalla convinzione della sacralità della vita umana, l’iniziativa mira a rafforzare il consenso informato delle donne, troppo spesso privo di dettagli essenziali sulla realtà del concepito. La bioeticista Giulia Bovassi, nella relazione introduttiva che ha accompagnato l’arrivo degli atti alla Camera dei Deputati già a febbraio 2024 (dove dovrà essere discussa dalle Commissioni riunite II - Giustizia e XII - Affari Sociali) sottolinea il valore scientifico e umano del riconoscimento del battito cardiaco fetale: un segnale incontrovertibile di una vita già presente e attiva nel grembo materno, a volte ancor prima che la donna si accorga della gravidanza.
Una proposta di scienza e consapevolezza
Gli oppositori della proposta l’hanno definita un atto di “terrorismo psicologico” sulle donne, ma i promotori ribadiscono con forza che si tratta invece di uno strumento per rendere visibile l’invisibile e per garantire un’autentica libertà di scelta. Alla base della proposta vi è la volontà di «scardinare il silenzio dei protocolli sanitari», spesso omissivi rispetto alla realtà del concepito. Attraverso una semplice ecografia e l’ascolto del battito cardiaco, si vuole offrire alla donna una consapevolezza piena della sua decisione, ponendo l’accento su un diritto fondamentale: sapere che dentro di lei c’è già una vita umana. Il cuore del concepito, piccolo ma determinato, batte già alla quinta settimana di gravidanza, contribuendo a irrorare gli organi in formazione. Come evidenzia Bovassi, ascoltare questo battito significa dare voce a chi ancora non può parlare, richiamando il diritto naturale e universale alla vita di ogni essere umano.
Un messaggio chiaro: proteggere la Vita
Questa proposta di legge non intende attaccare la libertà delle donne (come falsamente paventato dagli oppositori alla proposta), bensì evidenziare che senza piena informazione non esiste una vera libertà di scelta. La possibilità di ascoltare il battito cardiaco del proprio figlio rappresenta un atto di verità e giustizia, capace di risvegliare nella donna la coscienza di madre. La discussione - che si auspica possa arrivare il prima possibile - nelle Commissioni Giustizia e Affari Sociali della Camera sarà un banco di prova cruciale. “Un Cuore che batte”, infatti, non è solo una proposta di legge, ma una battaglia culturale per restituire dignità alla Vita e alle sue voci più deboli, perché ogni cuore che batte merita di essere ascoltato.
L’iniziativa di preghiera
Per sensibilizzare sulla proposta e sulla necessità di una sua discussione in Parlamento, è stata lanciata anche un’iniziativa di preghiera, che si terrà proprio nella giornata del 2 febbraio. In particolare Giorgio Celsi, infatti, - anche tramite un video diffuso sui social - ha invitato il mondo pro life e i cittadini alla mobilitazione, sotto forma appunto di preghiera, per questa intenzione, invitando anche le varie associazioni, gruppi e comunità - ma anche i singoli - a stampare ed esporre la locandina di “Un Cuore che Batte”.