Tra le mamme in difficoltà prossime beneficiarie di Un Dono per la Vita, c’è la 31enne fiorentina Deborah (nome di fantasia). La giovane donna riceverà nelle prossime settimane un trio passeggino, messo a disposizione dall’iniziativa sociale avviata da Pro Vita & Famiglia nel settembre 2019. La storia di Deborah merita di essere raccontata per tutte le sfumature di significato che offre: la difficoltà economica delle famiglie numerose, la violenza coniugale, il coraggio di riscattarsi, il grande cuore delle persone pronte a soccorrere chi è in difficoltà. La vicenda di Deborah è tutt’altro che all’epilogo e gli ostacoli che lei stessa dovrà affrontare sono ancora molti. Un grosso passo avanti, però, è avvenuto grazie alla solidarietà della gente comune, a tanti nuovi amici che si sono stretti intorno a lei, offrendole denaro ma soprattutto la propria vicinanza umana.
Una decina di giorni fa, Deborah si sentiva sull’orlo di un abisso. Con cinque figli e un sesto in arrivo, lo scorso 1 ottobre, era stata costretta a denunciare il marito per «violenza fisica e psicologica». Il suo matrimonio, celebrato dieci anni fa, non è stato dei più felici. «Avevo 20 anni, quando lo conobbi, ero innamorata persa, sembrava l’uomo perfetto – racconta Deborah a Pro Vita & Famiglia –. Dopo due mesi, già convivevamo, l’ho sposato dopo un anno ma è stata una scelta troppo repentina. Con il senno del poi capisci il tuo passato ma, sul momento, non ti rendi conto dei passi che fai». Il temperamento aggressivo e possessivo del marito ha oppresso molto la vita di Deborah, che racconta: «Mi aveva tagliato fuori da tutti i miei contatti sociali, dalla mia famiglia, dalle mie vecchie amicizie. Mettendomi a confronto con altre famiglie e altre coppie, mi sono resa conto che il nostro era un rapporto falsato, problematico. Si era innestato in me un meccanismo di sensi di colpa, che nascevano persino da un semplice caffè preso con un’amica. Sono dovuta uscire da questa logica e guardare le cose in una diversa prospettiva. Non è semplice tirarsi fuori da queste situazioni, per anni ho subito soprusi, di cui mi sono sentita complice, per averli permessi».
Una prima svolta è avvenuta nel 2014, anno in cui Deborah è entrata in una comunità del Cammino Neocatecumenale. «Lì mi si è aperto un mondo, ho trovato un gruppo di fratelli con cui poter parlare, aprirmi e rendermi conto di quello che mi stava accadendo». Il marito, però, non condivideva questo cammino: «Ogni convivenza con la mia comunità, ogni incontro era sempre una lotta – spiega Deborah –. Per la prima convivenza, mi assentai due giorni e lui la prese molto male. Al mio ritorno, nonostante fossi incinta al sesto mese, mi aggredì violentemente, mi gettò per terra, cercò persino di strangolarmi. Questa fu soltanto una delle sue tante reazioni negative». Nonostante questi episodi, Deborah ha perdonato più volte il marito, il matrimonio è proseguito e sono arrivati altri figli. Attualmente i bambini hanno 8, 7, 5, 3, 1 anni. A loro si aggiunge un aborto spontaneo e il sesto figlio, in arrivo ad aprile.
Finalmente, lo scorso ottobre, la giovane donna ha trovato il coraggio di denunciare il marito. «Avrei voluto farlo già una volta nel 2016 – ricorda –. Andai dai carabinieri ma poi non feci nulla. Ero molto più fragile di adesso. Sono contenta d’averlo fatto quest’anno e non allora. Sporgere denuncia, però, è solo il primo passo. Il difficile arriva dopo». Deborah ha infatti dovuto fare i conti con le lungaggini della burocrazia, dei servizi sociali, della magistratura. Il marito, infatti, dopo l’allontanamento giudiziario disposto anche nei confronti dei figli, finora non le ha mai somministrato gli assegni familiari. «I tempi sono molto lunghi – prosegue –. Ancora non mi hanno mandato a casa un educatore che mi aiuti con i bambini. Il centro antiviolenza Artemisia mi mette a disposizione una psicologa una volta ogni due settimane ma francamente è troppo poco. Intanto sono andata al patronato per cambiare l’ISEE, ho provato ad accedere al reddito di emergenza. In tutto ciò ho cinque figli da accudire e un sesto in arrivo». Non lavorando, Deborah può contare su un piccolo aiuto dei genitori, entrambi pensionati, ma anche questo è insufficiente.
Proprio nel momento di maggior sconforto, Deborah ha maturato l’idea che le ha riportato qualche raggio di sole in quel buio. Grazie a un’inserzione sul sito GoFundMe, è riuscita a raccogliere ben 3800 euro in una sola settimana (per chiedere info su come aiutarla scrivere a [email protected])
«Sono tanti soldi, veramente tanti – afferma con tono rincuorato –. È proprio vero quando si dice: “Aiutati che Dio ti aiuta”. Però il primo passo lo devi fare tu. Bisogna avere l’umiltà di chiedere aiuto. Ero partita col chiedere in tutto 1500 euro e già mi sembrava una cifra enorme. Quello che ho ricevuto mi dà un grandissimo respiro, davvero non me l’aspettavo».
Molto più delle donazioni ricevute, però, Deborah è rimasta colpita e commossa dal calore umano ricevuto. Molti dei suoi benefattori non si sono limitati da darle soldi ma sono andati a trovarla e parlarle di persona. Con alcuni è nata un’amicizia. «Sono venuti da me a prendere un caffè, mi hanno portato regali per i bambini – dice –. Mi hanno contattato anche donne che hanno vissuto storie come la mia e mi hanno detto: “Guarda, io non avrei il coraggio di espormi”. C’è chi mi ha detto: “Ho raccolto dei soldi per te ma vorrei portarteli a mano”. Ma non era possibile, anche per via dei lockdown. Allora ho risposto: “Vieni con calma a gennaio, ti offro un caffè, Covid permettendo…”».
Se il lato confortante di questa storia, per Deborah, è stata l’enorme solidarietà ricevuta, il risvolto critico rimane nelle lungaggini delle istituzioni. La giovane mamma fiorentina non ha alcun atteggiamento rivendicatorio, né vittimista ma non ignora la dura realtà. «Mi sembra assurdo che il giudice non ordini subito a mio marito di consegnarmi gli assegni familiari – afferma –. Dovrebbe essere qualcosa di automatico, a garanzia di una donna separata. Se non facevo questa raccolta fondi oppure mi andava male, dove andavo a sbattere la testa? A che serve ripetere che le donne vanno protette dalla violenza domestica se poi vengono lasciate in mezzo alla strada e le istituzioni non le aiutano?».