24/05/2021 di Luca Marcolivio

L’Università Pegaso promuove l’identità di genere. Ma non lo ammette in modo esplicito…

L’ideologia gender sta iniziando a diventare oggetto di formazione accademica. Per adesso si parla “soltanto” di un corso post-laurea ma potrebbe essere la premessa per qualcosa di molto più rivoluzionario in un futuro lontano. A lanciare il nuovo diploma di Specialista nel rispetto dell’identità e nell’educare alla differenza è l’Università Telematica Pegaso. Basta visitare il sito per notare subito un’irritualità procedurale: il corso è stato attivato nell’anno accademico 2020/2021, eppure, nonostante sia ormai maggio, le iscrizioni sono ancora aperte. Il corso è comunque di durata annuale, per un totale di 750 ore, corrispondenti a 30 crediti formativi.

«Nella società odierna, nella scuola di oggi è diventato fondamentale affrontare tematiche come la differenza di genere – si legge nella presentazione del corso sul sito di Pegaso –. Porre l’attenzione nei confronti del proprio genere al fine di rendere davvero concreta la libera espressione della singola individualità. Assumere la scuola e, quindi, la classe come il luogo dove il processo educativo possa favorire la coeducazione al rispetto dell’altro nella sua identità personale e di genere». Come spesso avviene in queste iniziative “inclusive”, il linguaggio è molto vago e ambiguo. L’impostazione del corso potrebbe anche far pensare ad un’educazione al rispetto reciproco tra uomo e donna, nel contesto dei corsi scolastici di educazione civica. La totale assenza di riferimenti al maschile e al femminile e la compresenza dell’immancabile «identità di genere» sgombrano, però, il campo da equivoci.

Il corso si prefigge, poi, di «individuare modalità educative miranti alla valorizzazione delle alunne e degli alunni di etnia diversa dalla nostra». Il riferimento all’inclusività nei confronti degli immigrati è coerente con lo spirito globale dell’iniziativa. Resta da capire, quanto siano importanti per gli studenti e i giovani di origine non autoctona dei corsi sull’identità di genere e fino a che punto risultino compatibili con le loro culture d’origine.

Tra i contenuti: «Riflessioni approfondite sulla cultura che emargina e diventa cultura della sopraffazione e della violenza»; «La coniugazione di istruzione e educazione che ontologicamente si determina nel rapporto e nella accoglienza dell’altro»; «Approfondita riflessione sulla propria differenza e sulla complessità con l’altro e con il diverso da sé».

Il punto che desta più interesse, comunque, sono le finalità del corso. In primo luogo, vengono menzionate le «strategie didattiche per la realizzazione di saperi di genere»; «la differenza come valore; una «rinnovata consapevolezza delle relazioni tra i generi e tra le persone e i saperi». Si punta, poi, all’«educazione di genere come patrimonio culturale consolidato e riconosciuto dalle moderne scienze umane e sociali». Discorso, quest’ultimo, quantomeno ambivalente: se si assume che i generi siano “binari”, maschile e femminile, non si comprende da dove sorga la necessità di un nuovo corso post-laurea. A meno che, non si alluda ad una necessità di valorizzare maggiormente le differenze dei ruoli maschili e femminili ma, in questo caso, ci troveremmo di fronte a un’operazione piuttosto “politicamente scorretta”: il linguaggio paludato e criptico lascia decisamente cadere nel vuoto questa ipotesi.

Altre finalità risultano sostanzialmente incomprensibili. «Concezione del sapere multidimensionale, non lineare e gerarchico, coerente con il paradigma della complessità dell’integrazione»: un’espressione ampollosa che vuol dire tutto e non vuol dire nulla, laddove lo studente che si approccia agli studi di genere avrebbe diritto alla massima trasparenza e chiarezza comunicativa in merito alle materie che affronterà.

Un ultimo significativo spunto lo offre la seguente finalità: «Conduzione di interventi (dalla pianificazione alla realizzazione) di sostegno ai processi di cambiamento degli stili di vita a rischio individuali e di gruppo». Anche qui, traspare una volontà di non “spoilerare” i contenuti del corso. Quali sarebbero i «cambiamenti degli stili di vita a rischio»? Vengono in mente i cambiamenti legati alle “transizioni di genere”, che, secondo la vulgata attuale, sarebbero esposti al rischio dell’emergenza omofobica così tanto enfatizzata nel ddl Zan. E qui, il cerchio si chiuderebbe. Perché, però, non dirlo in modo esplicito?

Questo articolo e tutte le attività di Pro Vita & Famiglia Onlus sono possibili solo grazie all'aiuto di chi ha a cuore la Vita, la Famiglia e la sana Educazione dei giovani. Per favore sostieni la nostra missione: fai ora una donazione a Pro Vita & Famiglia Onlus tramite Carta o Paypal oppure con bonifico bancario o bollettino postale. Aiutaci anche con il tuo 5 per mille: nella dichiarazione dei redditi firma e scrivi il codice fiscale 94040860226.