Donne come Sierra dovrebbero essere prese ad esempio da tutta la società, per il coraggio, l’altruismo e l’apertura alla vita.
Il Messaggero, in un suo articolo, ci presenta la storia di Sierra Strangfeld, una neomamma che ha scelto di donare il suo latte materno ad altri bambini dopo che il suo bambino appena nato era morto.
Anzitutto, questa donna è un modello di apertura alla vita: « a circa a metà della sua gravidanza, ha scoperto che il piccolo che portava in grembo aveva la Trisomia 18, una rarissima malattia genetica con un'incidenza pari di 1 su 6.000».
Il bimbo non sarebbe sopravvissuto a lungo, ragion per cui in molti paesi l’aborto sarebbe legalmente permesso. Ma perché? Perché togliere la vita a un bambino, con la sola “colpa” di non poter sopravvivere a lungo? Dicono che sia per evitare alla famiglia la sofferenza della morte. Ma non ha senso: così, alla sofferenza della morte, si aggiungerebbe quella della morte per aborto (e le possibili conseguenze di quest’ultimo sulla salute fisica e psichica della madre).
Ma Sierra ha scelto di accompagnare suo figlio fino all’ultimo istante della sua vita, lo ha chiamato Samuel ed è stata al suo fianco fino alla sua morte naturale, avvenuta solo tre ore dopo il parto: «Ha combattuto così duramente per poterci conoscere. Il nostro bambino è stato messo su questa Terra per un motivo», spiega.
E, infatti, la piccola e breve vita di Samuel ha portato frutto ed è stata un dono per tanti altri bambini, che, grazie alla scelta di Sierra, hanno potuto assumere ben 16 litri di latte materno.
«L’amore non conta i cromosomi» è la frase stampata sulla maglietta che indossava mentre donava il latte. Perché non esistono bambini di serie A o di serie B: tutti hanno diritto alla vita e tutti meritano d’essere amati come Sierra ha amato Samuel.
di Luca Scalise