Recentemente è uscito per Berica Editrice il libro Mamma mongolfiera... perché i figli crescono nonostante i genitori, di Marcella Manghi.
Classe 1974, una laurea in matematica e un master in Business, da dieci anni scrive di costume e società. Ma, soprattutto, è madre di tre figli ed è proprio di questo che parla nella sua ultima fatica: come si può sopravvivere a una giornata mediamente complicata, a Milano, con tre adolescenti (o pre-adoloscenti) e un marito che “lavoratanto”? E quanti “stili” di mamma esistono per arrivare a sera con tutti i pargoli intatti e – possibilmente – provando a crescere persone equilibrate, se non del tutto almeno in parte?
La Manghi non ha dubbi su dove collocarsi: lei è una “mamma mongolfiera”. Cosa significa? La questione è presto detta: si tratta di «quella tipologia di genitore che non sta sempre lì con il fiato sul collo come un reporter di guerra, opposto speculare del genitore “elicottero”, che invece ronza di continuo attorno ai figli, vigile, allerta, sempre pronto a intervenire se qualcosa sembra mettersi storto. Mamma Mongolfiera si affida al principio di Archimede che la spinga su fino a un’altezza più lunga del cordone ombelicale. Perché lei ne è convinta: i figli crescono anche senza l’Apache che da vicino gli copre le spalle. Si può ancora essere madri presenti senza diventare chiocce o tigri, senza crescere figli sdraiati, decisi a detenere il record negativo di trentenni-ancora-nel-nido?».
E, alla luce del fatto che ogni tipologia di madre ha il suo mantra, quello della Mamma Mongolfiera è: «Pazienza. Pazienza. Pazienza! Un poco di sana fatica, così come di frustrazione, non ha mai ucciso nessuno». Poi, chiaro, alcune cose cose è giusto esigerle, e subito, su altre si può soprassedere... almeno per un po’.
Le pagine scorrono veloci: tra gli impegni e le considerazioni di Sonoio, Faccioio e Cisonoancheio (ossia: i tre figli) e i pensieri di una Mamma Mongolfiera sempre in moto e che deve tenere insieme il tutto – talvolta anche vacillando, com’è normale – ed evitare che anche una sola risposta fuori luogo (si sa, gli adolescenti...) possa rischiare di rompere l’equilibri e generare una guerra fredda (ma anche calda, a seconda dei soggetti coinvolti e dell’orario). Il tutto ovviando alla mancanza del marito, impegnato fuori casa tutto il giorno per lavoro.
«C’è da dire – scrive la Manghi – che riconoscersi in una mamma mongolfiera è molto più facile quando di figli se ne ha più d’uno. La metamorfosi in molti casi avviene per necessità. Quando si è in minoranza (un adulto contro più bestiole), l’istinto maturo di sopravvivenza fa sì che si abbia meno tempo ed energia per assillare, intervenire, dare spazio all’apprensione. Tuttavia, almeno in Italia dove nascono sempre meno bambini, mio marito e io siamo genitori controcorrente (a proposito: mio marito non s’è ancora visto, perché a pranzo lui non torna dal momento che lavora tanto; lui chi? Lavoratanto). Pare che la colpa della denatalità sia la crisi. In carenza di mezzi, un nucleo meno numeroso funziona meglio di uno più numeroso. Come se lo scopo primario della famiglia fosse quello di dare i mezzi per funzionare meglio, anziché di essere felici».
Si arriva così all’epilogo del libro, che di fatto incarna “il sugo di tutta la storia”: i figli non hanno bisogno di una mamma o di genitori perfetti, bensì hanno bisogno di costruire un rapporto solido con loro. Inevitabilmente, poi, verranno feriti e faranno le loro belle fatiche per crescere. Ma questa è la vita, ed è un bene.
«Ogni bambino prima, ogni ragazzo poi, ha dentro la bellezza di una perla. La perla è splendida e preziosa. Ma nasce dal dolore. Nasce quando un’ostrica viene ferita: se un corpo estraneo – un’impurità, un granello di sabbia – penetra al suo interno e la abita, la conchiglia inizia a produrre una sostanza (la madreperla) con cui lo ricopre per proteggere il proprio corpo indifeso. Alla fine si sarà formata una bella perla, lucente e pregiata. Se non viene ferita, l’ostrica non potrà mai produrre perle, perché la perla è una ferita cicatrizzata. Dove c’è il dolore, lì nasce la bellezza. Tutto ciò che sembra un limite, racchiude in sé anche la possibilità del suo compimento.
Da un certo punto di vista, è marginale essere una madre chioccia, agnello, elicottero, mongolfiera, tigre. Purché la tensione sia rivolta al medesimo punto. E cioè trasmettere al figlio una certezza: che esiste un bene, che si può essere amati e che vale la pena venire al mondo».
Giulia Tanel