01/07/2024 di Giuliano Guzzo

Marina Berlusconi e la sintonia con la sinistra sui diritti civili. Ma quella non è libertà

Marina Berlusconi ha preso posizione sul fronte dei “diritti civili”. L’imprenditrice ha scelto di farlo nel corso di una intervista rilasciata al Corriere della Sera in cui ha parlato principalmente della nuova casa editrice “Silvio Berlusconi Editore”, creata all’interno del Gruppo Mondadori – che guida -, ma al cui termine, interpellata dal giornalista Daniele Manca, a proposito delle sue opinioni rispetto a quelle del governo, si è lasciata un scappare un: «Poi, per carità, ci sono anche temi su cui si può essere più o meno d’accordo...».

A quel punto il giornalista del Corriere ha chiesto chiarimenti, ottenendo questa risposta: «Personalmente, ad esempio, sui diritti civili. Se parliamo di aborto, fine vita o diritti Lgbtq, mi sento più in sintonia con la sinistra di buon senso. Perché ognuno deve essere libero di scegliere. Anche qui, vede, si torna alla questione di fondo, quella su cui non credo si possa arretrare di un millimetro: la questione della libertà». Queste le sue parole che - a maggior ragione essendo presentate come un pensiero personale («personalmente») - rappresentano ovviamente un punto di vista lecito.

Il punto è che, quando una imprenditrice così influente come Marina Berlusconi si è esprime, ecco, il suo pensiero non è più solo il suo, risultando in grado di rafforzare ancor più una mentalità dominante che sui “diritti civili” fa spesso confusione. Per questo, pur nel rispetto della visione individuale di ognuno, occorre fare chiarezza ricordando alcune cose fondamentali. Iniziando dal tema della vita nascente, c’è da dire che – posto che l’esercizio di libertà vale sempre se si parla di un soggetto, mentre nel caso dell’aborto i soggetti a vari livelli e titoli coinvolti sono almeno cinque (il figlio, la madre, il padre, il medico che esegue l’intervento e la società che, con le sue tasse, lo finanzia) – raramente l’aborto volontario è qualcosa che riguarda «la questione della libertà».

Basta infatti un rapido sguardo alla letteratura sull’argomento per scoprire come molte donne – almeno sei su dieci - che hanno abortito dichiarano di averlo fatto perché sole e perché non aiutate in nessun modo. Non solo: tante gestanti dichiarano che, se adeguatamente sostenute, quella gravidanza che sono arrivate a concludere con l’intervento abortivo l’avrebbero serenamente portata avanti. Su questo aspetto, la pluridecennale esperienza dei Centri di Aiuto alla Vita – dove svariate volontarie che sostengono le donne in gravidanza difficile o indesiderate sono donne a loro volta, anni prima, ritrovatesi sostenute in quella stessa criticità – è di certo illuminante. Allo stesso modo, è difficile considerare «questione della libertà» il fine vita, nel momento in cui tantissime persone che ricorrono all’eutanasia, semplicemente, lo fanno perché disperate.

Assai utili in questo senso sono le conclusioni dello studio La demografia del fine vita (Rassegna Italiana di Sociologia, 2023), che mostrano che l'incremento di Eea (eutanasia e suicidio assistito) è meno rapido se vengono organizzate in modo generalizzato e appropriate le cure palliative, in grado di ridurre grandemente o addirittura di annullare il dolore cronico giungendo alla sedazione profonda. Giampiero Dalla Zuanna, uno degli autori dello studio sopra citato, professore di Demografia dell’Università di Padova, afferma inoltre che, dove vengono messe in atto le cure palliative, il ricorso al suicidio assistito o all'eutanasia cala drasticamente; si ricorre a questa pratica per non soffrire: se si toglie il dolore, la richiesta si riduce di 10 volte. Questo significa che, prima di ogni altra cosa, si dovrebbe forse impegnarsi per garantire a tutti i malati, gli anziani e le persone in difficoltà una adeguata assistenza sanitaria e di accoglienza - cosa che siamo purtroppo, come Italia, ancora molto lontani dal garantire.

Infine, sui diritti Lgbt a cui ha fatto riferimento sempre Marina Berlusconi, se da un lato nessuno contesta i diritti fondamentali di nessuno, dall’altro sarebbe bello che la «questione della libertà» venisse richiamata con forza anche, anzi anzitutto sul piano educativo; per esempio, impedendo che nelle scuole – all’insaputa dei genitori – sedicenti esperti veicolino visioni ideologiche sull’identità di genere, ed anche facendo in modo che i giovani e le giovani affetti da disforia di genere non venissero avviati precocemente al blocco della pubertà e in generale al processi di transizione che possono presentare conseguenze gravi se non irrimediabili. Anche ricordare questo, pur nel rispetto che si deve al pensiero di Marina Berlusconi – come a quello di chiunque altro -, significa porre una «questione della libertà».

 

 

 

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