La legalizzazione dei matrimoni omosessuali comporta quasi automaticamente il diritto ad adottare da parte di quelle stesse coppie. Questo è stato riconosciuto in Francia, a seguito del voto favorevole del Parlamento ai matrimoni gay (23 aprile), e negli USA, dove il 26 giugno la Corte suprema ha dichiarato incostituzionale il Defence Marriage Act, la legge federale che contemperava il matrimonio solo tra individui di diverso sesso.
E’ evidente che se si ammette che due uomini o due donne possano essere coniugi a pieno titolo, non si vede perché si debba negare loro la possibilità di diventare anche genitori. A supporto di questa evenienza si sostiene che “è meglio essere allevati e amati da due omosessuali che crescere in orfanotrofio”. Ma ciò è falso.
Le statistiche ufficiali dimostrano, infatti, che le domande di adozione sono decisamente preponderanti rispetto ai bambini dati in adozione o in affido. Ad esempio, nel 2010 nel nostro Paese ci sono state 11665 domande di disponibilità all’adozione e 6092 domande di disponibilità e idoneità all’adozione di minori stranieri, mentre le sentenze di adozione nazionale sono state 1003 (+700 in casi particolari) e quelle di adozione internazionale 3217.
Insomma, le famiglie adottanti sono molte, mentre i bambini adottabili sono pochi. La disparità fra minori italiani e minori stranieri adottati evidenzia che questo è vero soprattutto in relazione ai minori adottabili italiani.
Adottare non è facile. Le coppie che richiedono l’idoneità all’adozione devono sottoporsi (com’è giusto, a garanzia dei bambini) ad accertamenti clinici ed a colloqui di diverse ore con psicologo ed assistente sociale. Devono rispondere a requisiti di età, di salute, economici, giuridici etc.. Li attende, quindi, una lunga trafila anche burocratica con tempi di attesa di anni, come le statistiche ufficiali attestano. Pensare, come lascia intendere lo slogan pro-adozioni gay, che sia sufficiente recarsi in orfanotrofio per vedersi gratificati del fagotto palpitante del bambino è del tutto fuorviante.
Il procedimento di adozione comporta, quindi, da parte delle coppie che lo intraprendono grande motivazione e grande affiatamento. Sarebbe interessante, per altro, precisare in che modo la variabile dell’omosessualità si vada ad inserire all’interno delle altre che costituiscono titolo di preferenza per il cosiddetto abbinamento (ossia l’individuazione della coppia da abbinare al minore).
In realtà, la motivazione ad adottare da parte delle coppie gay (come nelle coppie eterosessuali) è decisamente minoritaria a fronte delle possibilità offerte dalle moderne tecniche di fecondazione. E’, in sostanza, molto più gratificante per quelle coppie, come ha scritto Tommaso Scandroglio su La Bussola Quotidiana del 22.5.2013, ricorrere alla fecondazione artificiale eterologa. Quest’ultima fa sì che il bambino appartenga geneticamente ad almeno uno dei due componenti la coppia. Nel caso di coppia femminile, una delle partners, il cui ovulo sia stato fecondato dallo spermatozoo di uno sconosciuto, è madre biologica del bambino. Nel caso di una coppia maschile, uno dei due sarà padre biologico, avendo fecondato una donna disponibile a “dare in affitto” (a pagamento!) il suo utero.
Ed è per cementare la solidità di questo nuovo tipo di famiglia, che in molti paesi è stata concessa al partner estraneo alla procreazione la possibilità di adottare il figlio del compagno.
Un altro discutibile convincimento è quello che ad un bambino serva solo amore, non importa, quindi, se arrivi da due donne o due uomini.
Ci pare, a tal proposito, che si possano (e debbano) sollevare almeno due grandi questioni.
La prima è relativa alla possibilità che coppie costituite da persone dello stesso sesso possano essere equivalenti ai genitori naturali, inequivocabilmente eterosessuali.
Si badi bene: il punto non è se siano in grado di allevare un bambino, ma se siano equivalenti! Non vi è dubbio, infatti, che la differenza tra i sessi è elemento essenziale della costruzione del bambino, nella definizione del sé. Figura materna e figura paterna nella loro differenza sessuale, che si traduce in ruoli differenti e complementari, rappresentano i parametri naturali entro i quali il bambino si costituisce come persona. Come ha scritto G. Bernheim,” il padre e la madre indicano al bambino la sua genealogia. Il bambino ha bisogno di una genealogia chiara e coerente per situarsi come individuo”. (G. Bernheim, “Matrimonio omosessuale: ciò che spesso si dimentica di dire” in Il Regno – documenti, 1/2013, pag. 57). Privare il bambino di queste figure naturali costitutive della sua identità è senz’altro una violenza. Come recita l’articolo 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 «il fanciullo ha diritto a conoscere i suoi genitori e ad essere allevato da essi». E ciò vale, sia detto, anche per la fecondazione eterologa, indipendentemente dall’eterosessualità della coppia, perché essa priva artificialmente il bambino della conoscenza di uno dei genitori.
La seconda questione attiene alla natura stessa dell’istituto adottivo.
L’adozione ha come obiettivo l’interesse del bambino: dargli una famiglia che non ha. Ed è questo interesse che la Convenzione de L’Aia sulla protezione dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale (art. 1) e la Convenzione relativa ai diritti del bambino (art. 21) valutano prioritario nei procedimenti adottivi: “L’interesse del bambino è di avere un padre e una madre”.
Ora, proprio perché l’adozione prende come modello la famiglia naturale, i genitori adottivi devono essere in età di procreare, l’adozione deve essere definitiva e il bambino non può essere oggetto di molteplici adozioni. Ciò implica che i genitori dello stesso sesso non possono essere due! Con la coniazione di un modello alternativo di famiglia e di genitorialità si vanno invece inevitabilmente a creare situazioni non corrispondenti alla realtà naturale e biologica, che violano il diritto del bambino ad avere i riferimenti sicuri di cui ha bisogno per crescere in modo equilibrato. Le difficoltà che hanno i legislatori nell’adeguare la terminologia a queste inconsuete pretese (per non dire innaturali), dimostrano l’innaturalezza, l’assurdità, per non dire la mostruosità, di questo istituto: non più Padre e Madre o Papà e Mamma, ma Genitore 1 e Genitore 2; non più genitorialità, ma omogenitorialità.
In definitiva, non spetta al bambino adottato adeguarsi alle scelte di vita affettiva dei genitori. Tutti gli ordinamenti giuridici del mondo riconoscono che l’istituto dell’adozione esiste per dare una famiglia a un bambino, e non viceversa.
di Clemente Sparaco