In questi giorni si parla molto del cosiddetto “matrimonio gay” e della stepchild adoption, in vista della discussione del Ddl Cirinnà calendarizzata al Senato per il prossimo 26 gennaio.
Diverse sono le iniziative che sono state avviate per contrastare questa deriva, che porta con sé un vero e proprio sovvertimento antropologico.
Abbiamo parlato di un possibile referendum e della situazione politica e dato evidenza alle veglie delle Sentinelle in Piedi e all’iniziativa “Un’Ora di Guardia”... e molto altro viene e verrà fatto in difesa della famiglia naturale e dei bambini.
Tuttavia, come purtroppo spesso accade quando si parla di temi importanti e legati al mondo della (bio)etica, i mass media più che un serio confronto di opinioni fanno la loro parte per innalzare muri ideologici che non fanno bene alla verità.
Ecco quindi che il relativismo e il politically correct la fanno fa padroni: “Io non lo farei, però...”; “L’importante è l’amore”; “Meglio che un bambino abbia due ‘genitori’ dello stesso sesso, piuttosto che stare in orfanotrofio...”; e, immancabile, l’abusata domanda retorica “Chi sono io per giudicare?”.
Ebbene, di fronte a tutto questo è utile richiamare alla memoria che anche La Repubblica, forse abbagliata dal sole estivo, a luglio era capitolata e aveva ammesso che in Italia le coppie gay hanno già diversi diritti. Insomma, il “matrimonio gay” non serve (se non da Cavallo di Troia per arrivare ai bambini...)!
A dare evidenza di questa notizia era stato il sociologo Giuliano Guzzo, che scriveva: “Finalmente. C’è voluto parecchio tempo, anzi troppo, ma alla fine è stato ammesso: in Italia i sospirati diritti per le coppie omosessuali non solo non sono negati, come taluni seguitano ostinatamente a ripetere, ma sono già disponibili e ‘attivabili’. In poche parole, a portata di mano: nessuna ingiustizia dunque, nessun ‘vuoto legislativo’ e nessuna crudele discriminazione. La novità è che questa verità – già ampiamente sottolineata da autorevoli giuristi, ma a lungo oscurata da disinformazione volta a nascondere alle coppie conviventi i loro effettivi diritti – l’altro giorno è stata riconosciuta pure dall’insospettabile quotidiano la Repubblica. La sorprendente ammissione è arrivata da un’inchiesta circa l’iniziativa di una compagnia di assicurazioni che propone – riprendiamo testualmente – due ‘polizze assicurative’ innovative rispetto ad ‘altre soluzioni di diritto privato’“.
Insomma, La Repubblica era arrivata ad ammettere che in Italia la materia successoria e perfino la pensione di reversibilità non sono negati ai conviventi gay. Dov’è quindi questo “vuoto legislativo” di cui tanto si parla? Non è che siamo tutti immersi – più o meno coscientemente e colpevolmente – in una grande bolla di sapone?
Guzzo elencava inoltre – studi alla mano, si veda qui – alcuni diritti di cui oggi le coppie omosessuali sono già titolari: hanno diritto “[...] di stipulare di accordi di convivenza per interessi meritevoli di tutela, di successione nel contratto di locazione a seguito della morte del titolare a favore del convivente, di visita in carcere al partner, di risarcibilità del convivente omosessuale per fatto illecito del terzo, di obbligo di informazione da parte dei medici per eventuali trapianti al convivente, di permessi retribuiti per decesso o per grave infermità del convivente, di nomina di amministratore di sostegno, di astensione dalla testimonianza in sede penale, di proporre domanda di grazia“.
Cosa vuole quindi il mondo omosessuale quando chiede l’istituzione del matrimonio gay? Semplice: due sole cose. Da un lato il riconoscimento pubblico della causa omosessualista; dall’altra, i bambini.
I dati di realtà dicono questo. Tutte le altre sono illazioni prive di fondamento.
Redazione